Andar per erbe: cicorie, radicchi, denti di leone

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DI STEFANO TELLARINI, ROBERTO GIORGETTI, MARIA MANUZZI Cicorie, radicchi selvatici e denti di leone. Il gruppo è apparentato dal fatto che si tratta di erbe amare che si trovavano quasi ovunque in Romagna soprattutto nei terreni argillosi, e che si raccoglievano comunque come rosetta fresca e tenera prima della fioritura e si consumavano prevalentemente, se non esclusivamente, nelle insalate primaverili. Esso è composto dalla Cicoria Selvatica (nome scient.: Cichorium intybus L.; dial.: Radecc, Radecc d’Campagna, Radec Salvadghe, Zicoria), dal Dente di Leone Comune (nome scient.: Leontodon hispidus L.; dial.: Insaleda campagnola, Radecc), del Tarassaco Comune (nome scient.: Taraxacum officinale (group); dial.: Castrachen, Castracan, Dent d’Aglion, Dent d’Allion, Pasacan, Pesacan, Pesalet, Pesciachen, Pessalet, Pessacan, Pessachen, Psacan, Suffion, Sufion).

Le giovani rosette basali, se raccolte fresche e giovanissime, prima della fioritura, andavano appunto prevalentemente per preparazioni a crudo in insalata. Tradizionale era il loro consumo nel periodo pasquale per insalate tradizionali del periodo con uova “dure” sbriciolate, dei cipollotti, o i ricacci invernali delle cipolle conservate, soprattutto di quella di Santarcangelo, e una fetta di salame.

In questo senso vale come testimonianza la nota del Majoli a fine Settecento a proposito del dente di leone come erba “…venduta dalle povere donne in tempo di Quaresima”. Il Tarassaco poteva andare anche nelle frittate primaverili quale ingrediente dominante, e anche in insalate miste a crudo e misticanze cotte. Di questo si utilizzavano anche i boccioli estivi preparati come i capperi, sotto sale o sotto aceto.

La cicoria selvatica, nel Ravennate, quando era giovanissima e tenerissima con sole quattro foglioline e un pezzettino di radice era preparata in insalata a crudo. E allora si chiamava anch’essa “galtin”. Con questa denominazione s’ingeneravano altri equivoci con la Valerianella, anch’essa chiamata in questo modo. Quando la cicoria selvatica era matura, verso fine estate, ed esprimeva quindi un sapore più amarognolo, si cucinava in padella. Durante la cottura occorreva mescolare in continuazione per garantire l’insaporimento della cicoria, e anche e soprattutto per evitarne l’attaccarsi al fondo e la conseguente bruciatura. Poteva andare anche in minestre di erbe, nelle zuppe, negli stufati e nel ripieno dei cassoni.

Nel caso di insalate invernali quando i radicchi erano particolarmente duri e pelosi, andavano con lo “svampone” di aceto caldo e lardo, nella preparazione chiamata anche “radicchi con i bruciatini”. Quando diventavano ancora più dure e amare, a fine autunno, si utilizzavano soprattutto per zuppe, minestre e umidi. In autunno presso le più povere famiglie di casanti (soprattutto in tempi di carestia e di guerra) si raccoglievano le radici, sia della Cicoria che del Tarassaco, e addirittura dello Scarpigno, che lavate, tagliate ed essiccate, erano tostate sul testo della piada, per essere macinate e sostituite al caffè. Per i nostri nonni e bisnonni questo veniva considerato un surrogato del caffè vero e proprio, e anche una bevanda medicinale. Buone, infine, erano anche le radici lessate e condite.

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