Amir, i custodi del patrimonio pubblico: le reti idriche

Si definiscono, non a caso, i “custodi del patrimonio pubblico”. Nel Riminese, Amir detiene la proprietà delle reti idriche. È quella società che, nella filiera dell’acqua, si trova nel mezzo, tra chi la capta dalle falde e chi, invece, porta l’oro blu direttamente nel rubinetto. È, per dirlo in modo semplice, un esempio tangibile di come lo Stato dica chiaramente che il servizio deve restare di tutti. Sì, perché a partecipare ad Amir ci sono i Comuni della Romagna (il 75% lo detiene Rimini) alcuni del Montefeltro marchigiano e l’Azienda autonoma di Stato per i servizi pubblici della Repubblica di San Marino.

«L’industrializzazione del servizio è una prospettiva indispensabile perché le gestioni in economia di piccoli territori non sono più sostenibili – spiega Alessandro Rapone, amministratore unico di Amir - Il settore idrico richiede investimenti ad alta densità di capitale. A maggior ragione, con i cambiamenti climatici, è fondamentale avere un controllo in tempo reale dell’acquedotto e della fognatura».

Proprio la rete è centrale. «Siamo nati come municipalizzate e poi ci siamo evoluti. Noi siamo i proprietari dell’infrastruttura, siamo i garanti e finanziamo la manutenzione dell’infrastruttura – dice - Abbiamo ogni anno almeno 2 milioni di euro per garantire la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete».

La Romagna è un modello di gestione della filiera acqua. Infatti, i numeri sono rassicuranti.

«Lo spreco idrico? In Italia abbiamo una situazione pessima. La media nazionale ha una dispersione idrica di circa il 40%. In Romagna siamo invece intorno al 19%: è uno dei territori più virtuosi del Paese, insieme alla Lombardia – prosegue l’amministratore unico di Amir - Abbiamo fatto investimenti nell’ottica di una programmazione di lungo termine. Si è trattato di un lavoro di lungo respiro che richiede una pianificazione. Siamo stati molto ferrei nel richiamare alla responsabilità: specie a Rimini siamo stati molto collaborativi. Ciò ci ha permesso di continuare a fare il nostro lavoro in modo continuativo. Nelle aree meridionali dell’Italia, invece, ci sono gestioni a livello comunale senza solidità finanziaria per pianificare manutenzioni. Abbiamo aree della Sicilia, della Calabria e del Basso Lazio dove le perdite sono al 60%. Bisogna considerare che il livello il ciclo di vita ideale per una condotta idrica è non più di 30 anni. Quando si arriva a 40 o 50 diventa un problema».

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