Amalia, staffetta partigiana 96enne: "Ricordare è importante"

Per Amalia Geminiani, staffetta partigiana originaria di Alfonsine ma da tanti anni residente a Castrocaro, da tempo ospite del centro sociale Giovannini – Mignani – Baccarini” di Terra del Sole, i 96 anni compiuti a luglio sono solo una cifra riportata sulla carta d’identità. La memoria non ha tradito questa coraggiosa donna che, ancora oggi, ripercorre a ritroso senza esitazioni la sua vita ricordando nitidamente gli anni in cui è stata in prima linea durante la Resistenza. I suoi occhi, sono ancora illuminati dal coraggio e l’orgoglio di chi non si è mai piegato alla ferocia della dittatura fascista, nonostante questa le abbia strappato alcuni degli affetti più cari. «In quegli anni – racconta – si combatteva contro i fascisti ed i tedeschi. Ricordo che quando avevo circa 10 anni, non potei più andare a scuola poiché per farlo, bisognava fare parte delle Piccole italiane, organizzazione fascista alla quale erano obbligatoriamente iscritte le ragazze italiane di età compresa tra gli 8 e i 14 anni: quello fu il primo dolore della mia vita, piansi tutto il giorno». Purtroppo, quella sarebbe stata “solo” la prima sofferenza inflitta dal regime ma non l’ultima. «Durante quegli anni – continua - mio padre andò ad un funerale che cadeva proprio il primo maggio. Fu picchiato perché le camice nere non gli credettero e pensarono che avesse aderito alla festa dei lavoratori, allora abolita». La violenza cieca di quegli anni è ancora ben impressa nella sua mente. «Quando facevo la staffetta partigiana muovendomi da Alfonsine e raggiungendo, a piedi o in bicicletta, le persone che dovevo contattare, per strada c’erano solo le donne perché gli uomini rischiavano di essere catturati e fucilati. Mi orientavo prendendo come riferimento i centri dei piccoli paesi e tagliavo per i campi per evitare la vista dei corpi lasciati appesi. Lo feci, ad esempio, per non vedere tre giovani, impiccati ad un albero: erano già morti e non avrei potuto fare nulla per loro». La guerra le ha portato via uno degli amori della vita, Edoardo, il fidanzato di allora che ancora vive nella sua memoria e la guarda da una foto che tiene sul comodino. «Aveva 19 anni e un giorno mi disse che quella sera sarebbe partito per andare a combattere. Era novembre, io avevo le ciabatte ai piedi e decisi di rimanere con la mia famiglia: quella fu l’ultima volta che lo vidi. Morì per una scheggia di granata nella pancia». Amalia, assieme ad altri abitanti, dormì per quattro mesi all’addiaccio in un rifugio improvvisato nelle campagne. «Avevamo ricavato uno spazio dietro casa delle sorelle Tolmina e Maria Faccani, dove in quel momento non passava l’acqua del fiume. Quest’ultima, la più piccola, dormiva tra me e la sorella maggiore. Ricordo di un signore che, per fare posto ad un giovane, uscì dal rifugio e fu colpito mortalmente da una scheggia». Se le granate erano il terrore quotidiano di chi ha vissuto la guerra, anche dopo la liberazione del 25 aprile, le armi hanno continuato a mietere vittime. «Mio padre è morto, ucciso da una mina sovrapposta ad un’altra che aveva appena disinnescato. “Ciao gagia”, mi disse anche quella mattina prima di uscire per i campi dai quali non è più tornato». Fu proprio l’amato genitore a dare il coraggio necessario ad Amalia per garantire i collegamenti tra le varie brigate partigiane. «Mi disse che potevo stare tranquilla perché dov’ero io c’era anche lui. Le sue parole mi hanno rassicurata fino alla Liberazione». Una memoria storica importante ma ancora oggi estremamente dolorosa. «Ricordare quegli anni – afferma – è importante perché fa parte della storia d’Italia ma, alla mia età, mi disturba molto». Amalia nel 2021 ha ricevuto una lettera dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella in risposta ad una mail che proprio lei gli aveva scritto durante il lockdown. In quella missiva, la prima carica dello Stato le esprimeva ammirazione per la battaglia condotta durante la Resistenza.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui