Altre lavoratrici ucraine in salvo e al lavoro in Riviera

Con altre quattro in aggiunta alle nove inserite inizialmente in cinque alberghi a Cesenatico, sono salite a 13 le donne ucraine che la onlus “Africa Clean” ha accompagnato da quella terra in guerra alla Riviera romagnola, ora occupate con regolari contratti nella pulizia delle camere e nel servizio in sala. E con loro sono arrivati anche cinque figli minori di varie età, che fino a metà settembre riceveranno vitto e alloggio, così come le loro mamme, all’interno degli hotel coinvolti nel progetto che coniuga lavoro, solidarietà ed esigenze imprenditoriali.

Tra l’altro, due delle bambine accolte – riferisce Carmelo Massari, referente del progetto di “Africa Clean” – sono state inserite nei centri estivi a Cesenatico, grazie alla sensibilità dell’amministrazione comunale, e in particolare dell’assessora Pedulli .

L’esperienza che si sta facendo per la seconda estate, dopo un ben riuscito debutto nel 2022, in quel caso in collaborazione con la Uil, è stata estesa negli ultimi giorni non solo numericamente ma anche dal punto di vista geografico. Agli alberghi cesenaticensi “Michelangelo”, “Excelsior”, “Esplanade”, “West End” e “La Perla” se ne è infatti aggiunto uno di Rimini: l’hotel “Angelus”.

Le ultime due arrivate

È qui che sono arrivate e hanno preso servizio le ultime due ucraine che dai cieli attraversati dai missili sono arrivate sotto quelli decisamente più sereni sulla costa romagnola. Hanno 43 anni e a differenza di chi le aveva precedute non provengono dal Donbass ma da Kerson. Carmelo Massari, che le è andate a prelevare sul confine ucraino, ripetendo, ma questa volta senza superare la frontiera, l’operazione fatta quasi due mesi fa col gruppo di connazionali ex lavoratrici delle miniere, spiega: «La città dove vivevano, in pratica, non esiste più e le loro case sono state rase al suolo. Si erano rifugiate 6 mesi fa a Dnipro, in una struttura di accoglienza con le loro famiglie, che sono rimaste lì, mentre loro sono venute a lavorare in Romagna per portare un po’ di pane a casa. Prima della guerra, una lavorava in un panificio, mentre l’altra era una venditrice ambulante di frutta nei mercati. Sono comprensibilmente spaventate e spaesate . La prima cosa che hanno fatto appena arrivate è andare a vedere il mare per ritornare a provare la sensazione di una vita normale dopo due anni che sentono solo bombe».

Sfuggite all’attacco a Leopoli

Dietro il loro arrivo c’è anche una storia da brividi, subito prima di espatriare: «Siamo riusciti da anticipare la loro partenza di circa 18 ore, perché nella notte tra il 3 e il 4 luglio le sirene a Leopoli, dove si trovavano, erano suonate otto volte. Una decisione che si è rivelata provvidenziale per la loro sicurezza, visto che il giorno seguente c’è stato l’attacco dei droni russi su quella città (dove Massari era stato a metà maggio, assieme ai volontari Giulia Zoccarato e Michele Magrini, per prelevare il primo gruppo di lavoratrici ucraine, ndr). Se non avessimo anticipato il viaggio, si sarebbe corso il rischio che rimanessero bloccate dopo quei tremendi raid, che hanno provocato parecchi morti e feriti».

Le beghe burocratiche

Intanto, a Cesenatico, anche l’unica delle ucraine arrivate col primo gruppo che non aveva un contratto di lavoro l’ha trovato. Inoltre, in forma più autonoma ma sempre attraverso il canale aperto da “Africa Clean”, ne è arrivata un’altra, con una figlia al seguito. Per le quattro donne di questo gruppo giunto a Cesenatico in maggio che dovevano formalizzare alcune pratiche, in quanto erano alla loro prima esperienza del genere, è stata nel frattempo completata la trafila burocratica. Ma l’impegno di Massari non è finito. Per esempio, si è occupato e si sta occupando, non sempre agevolmente, delle procedure per ottenere il contributo di 350 euro che il Governo ha messo a disposizione delle profughe ucraine, come aveva fatto quello precedente.

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