«Non chiederò ulteriori prestiti, un pezzo alla volta e con le mie forze proverò a sistemare la casa di famiglia che mi sono intestata nel 2011 e di cui sto ancora pagando il mutuo. Ho fatto domanda per gli aiuti, ancora non sono arrivati. Aspetto fiduciosa, nella speranza si sblocchi presto la situazione». Non ci gira attorno Sonia Bedei che, insieme ai genitori anziani, abita in via Oslavia nel quartiere San Benedetto. Anche lei, come tanti altri, ha perso praticamente tutto con l’esondazione del fiume Montone del 16 maggio scorso. La sua è un’abitazione singola che conta una tavernetta, arredata per lei, e un primo piano rialzato. «I danni sono consistenti, si stima circa 50mila euro – prosegue la donna -. Di sotto non è rimasto più nulla: finestre, pavimenti, il mio abbigliamento e 56 anni di ricordi spazzati via in una notte. Di sopra, purtroppo, l’acqua è stata assorbita dai muri anche se molto meno rispetto al piano inferiore, anche qui comunque servono degli interventi. Per un mese, insieme ai miei genitori, sono rimasta fuori casa a causa dell’odore sgradevole provocato dalla muffa. Finalmente siamo potuti rientrare, ma non è stato affatto semplice con due persone anziane».
Adesso è tutto da ricostruire, tornando alla sera del 16 maggio Sonia confessa di avere avuto molta paura. «Come accadeva spesso, quel giorno i miei genitori hanno ricevuto l’allerta registrata tramite telefono – dice Bedei -. Io ero in ufficio , quando sono uscita ho iniziato a vedere uno strano movimento su viale Salinatore. Già mia sorella mi aveva avvisato che la situazione non era delle migliori dato che alcuni suoi colleghi erano stati allertati di rientrare a casa. Fatto sta che decido di mettere in salvo la macchina, ma quando sono tornata, dopo aver dato una mano alla mia vicina di casa, ho percepito realmente la portata del problema: in pochi minuti fuori c’erano già oltre 2 metri d’acqua». Così la donna inizia a chiamare i soccorsi e per un mese la famiglia Bedei è stata evacuata. «Il rammarico è di non essere riuscita a portare via prima i miei genitori, considerato che mio papà assume farmaci salvavita, perchè notizie ufficiali su quanto stava accadendo sono arrivate tardi: solo alle 19 ci è stato detto di andare ai primi piani quando il mio è solo un piano rialzato – continua la donna -. Nonostante tutto è andata bene, ora con l’aiuto di tanti volontari, anche molto giovani, siamo rientrati e piano piano cerchiamo di sistemare la nostra casa. Nella zona nessuno si aspettava una cosa simile, quasi tutte le abitazioni hanno un piano interrato tanto che proprio il sotto di casa mia veniva utilizzato come nascondiglio dal partigiano Corbari».