Allarme dei sindacati: "Quasi 12mila lavoratori a rischio in Romagna"

Ravenna

Quasi 12mila lavoratori a rischio in Romagna. E sono ben 4.800 i lavoratori in provincia di Ravenna che, dall’inizio dell’anno a metà giugno, si trovano sostenuti da ammortizzatori sociali nei settori per cui, già dal primo luglio, si verificherà lo sblocco dei licenziamenti. Cifre che preoccupano i sindacati ravennati, che aderiranno unitariamente alla manifestazione in programma a Firenze. Cgil, Cisl e Uil organizzano verso il capoluogo toscano partenze in pullman, auto e treno. Marinella Melandri, segretaria provinciale della Cgil di Ravenna, vede, dai numeri che maturano, rischi di disgregazione sociale e mette in guardia: «Dobbiamo costruire adesso un modello differente. Se lo faremo lasciando indietro un pezzo di società, creeremo fratture insanabili».

Marinella Melandri, Confindustria è ottimista sulla ripresa e ritiene che la perdita di posti di lavoro con lo sblocco dei licenziamenti sarà relativa solo a uno stretto ambito fisiologico. Poche crisi insanabili, che apparrebbe insensato procrastinare. Voi che ne pensate?

«Lo scenario è in grande evoluzione ed è difficile avere certezze. Partiamo dai numeri: sono 7mila, secondo i dati estratti a metà giugno, le posizioni lavorative per cui sono richiesti ammortizzatori sociali ampiamente intesi. Possiamo pensare che possano essere utilizzati solo parzialmente, lo sapremo dopo. Ma evidenziano una fetta di sofferenza ancora consistente».

La punta della crisi sono ancora gli esercizi commerciali?

«Nella fase critica della pandemia abbiamo visto il terziario come primo coinvolto. Ora è meno facile comprendere la ripresa dell’occupazione in quest’ambito. Certamente non troviamo riscontro nel fenomeno denunciato dell’impossibilità di trovare figure professionali disposte a impegnarsi in questo settore. Se si propongono contratti semplicemente nelle regole, i lavoratori accorrono e sono dispostissimi anche negli orari serali e nei giorni festivi»

Riscontrate abusi, invece?

«Abbiamo molteplici segnalazioni, da parte di chi si candida a posizioni nel terziario, di una richiesta di “comprensione” del contesto della crisi che va ben oltre il lecito. Poi c’è questa retorica, senza riscontri, che vedrebbe tanti giovani preferire il reddito di cittadinanza rispetto al lavoro nell’ambito turistico o della campagna. Va ricordato che al terzo rifiuto di un posto, il beneficiario perde il sussidio. Ovviamente se la posizione lavorativa viene proposta nei canali previsti dai centri per l’impiego».

Come sindacati siete preoccupati per lo sblocco dei licenziamenti che, per alcuni settori, partirà già dal primo luglio. Quale situazione analizzate?

«Tra oil&gas, ceramica, edile, gommaplastica, metalmeccanica abbiamo 4.800 posizioni per cui, dall’inizio dell’anno, sono stati richiesti ammortizzatori. Sono 2.500 in metalmeccanica, dove le aziende faticano a programmare per la poca disponibilità di materie prime. Sono 700 nell’ambito delle costruzioni dove insiste una criticità nell’industria del legno, in particolare quella dei divani. Se riteniamo che questi numeri si possano tradurre in licenziamenti? Questo no, ma è una situazione delicata che va monitorata e tenuta sotto controllo. Lo sblocco è sbagliato».

La crescita però fa presupporre che riparta anche l’occupazione...

«Sì, ma abbiamo bisogno di governare il cambiamento. Se perdi 100 posti e ne recuperi altrettanti, non è detto che si tratti degli stessi. Perché parliamo di persone, e questa pandemia ha accentuato polarizzazioni nella società già presenti. Nell’ambito della logistica abbiamo visto un lavoratore investito da un altro mentre manifestava. Sono segnali da tenere in considerazione. Se la ripartenza trova l’avvio da deregulation sul codice degli appalti e licenziamenti, non sarà la direzione giusta».

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