Alessandro Cellai, il volto toscano del Pinot Nero

Per Alessandro Cellai il Pinot Nero non è soltanto un vitigno, ma una grande passione sbocciata sin dai tempi della scuola, quando fece per la prima volta visita alla Borgogna francese. Prendere un’uva tanto pregiata e carica di significato nel panorama mondiale del vino e portarla nella sua Toscana non è stato affatto semplice. Ha richiesto un notevole sforzo in termini di ricerca delle barbatelle più adatte ma, ancor prima, dei migliori terreni su cui dare libero sfogo ad un sogno. L’esplorazione è iniziata alla fine degli anni ’90 ed è terminata, qualche anno dopo, in un piccolo appezzamento di famiglia, nel quale un ettaro e otto è risultato perfetto per piantarvi quelle delicatissime piante. Podere Monastero nasce così, dall’amore per la sfida di un enologo toscano tra i più eclettici. Un maniaco dei dettagli, che nei suoi vini fanno davvero la differenza, al punto che il suo “La Pineta” è, ormai da diversi anni, stabilmente in testa alle classifiche dei migliori Pinot Neri d’Italia. «La scelta dei terreni – spiega Cellai – ha rivestito un’importanza fondamentale e ancor di più lo è stata la scelta dei cloni e dei porta innesti che ha richiesto un lunghissimo lavoro di ricerca effettuato tra i più prestigiosi vivaisti della Francia. Il Pinot Nero, sebbene di non facilissima adattabilità in Italia, è considerato uno tra i migliori vitigni al mondo, capace di dare vini di straordinaria eleganza ed armonia. Ed è stata proprio questa la sfida: produrre un grandissimo vino in una terra famosa per altri vitigni. Per fare ciò abbiamo dovuto affrontare ogni singola operazione con scrupolosa attenzione, in vigna prima ed in cantina dopo».

Territorio

La zona è quella di Castellina in Chianti, cuore della Toscana e del Sangiovese di spessore. Portare vitigni fuori da quelli tradizionali, in un luogo così ricco di tradizione, poteva sembrare una vera e propria follia, ma Alessandro è andato avanti forte delle sue idee e ha piantato il clone “777” selezionato. Nel 2006, con la prima bottiglia di Podere Monastero uscita in commercio, all’incredulità sono seguiti gli applausi. «Situata a circa cinquecento metri di altitudine –ricorda l’enologo e proprietario – la cantina produce attualmente circa diecimila bottiglie all’anno equamente divise tra Pinot Nero e un bland di Merlot e Cabernet Sauvignon». Una produzione risicatissima, insomma, ma che viene comunque esportata in trenta paesi nel mondo e che si trova nelle cantine dei ristoranti più importanti del globo. Ma che il futuro di questo professionista visionario sarebbe stato nel vino, chi lo conosceva bene lo aveva già capito quando era ancora un bambino. All’età di quattro anni, infatti, Cellai comincia a scoprire i segreti della cantina e dell’arte enoica. Il primo insegnante è stato lo zio, sacerdote della parrocchia di San Giorgio alla Piazza che, in quegli anni, gestiva un piccolo vigneto nei pressi della chiesa. «Mi sono subito appassionato a questo mestiere – ricorda l’enologo –, al punto che mi sono iscritto ad agraria e poi mi sono laureato in chimica. La fortuna ha voluto che incontrassi Giacomo Tachis, con il quale è nato un grande rapporto di amicizia, ma anche di lavoro». Oggi Cellai lavora col gruppo Castellare e altre realtà, ma nella sua Podere Monastero infonde non solo le sue conoscenze, ma tutti i ricordi e le passioni.

I vini

È così che nascono “La Pineta” e “Campanaio”. Il primo è un cento per cento Pinot Nero realizzato con cura maniacale. «Ogni vite – spiega Cellai – viene curata fin dalla potatura. Il sistema di allevamento è a guyot e le uve, raccolte rigorosamente a mano, vengono fatte fermentare in tinella di rovere francese a temperatura controllata per circa dodici giorni. Alla svinatura il vino viene messo in barriques per la fermentazione malolattica; alla fine di questo processo il vino viene travasato e messo nuovamente in barriques per ulteriori nove mesi prima di essere imbottigliato». Il secondo (cinquanta per cento Merlot e cinquanta per cento Cabernet Sauvignon), seppur fatto con uvaggi più comuni alla zona di produzione del Chianti, è anch’esso frutto di scrupolosa attenzione.

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