Al Cantiere poetico gli Hikikomori di Cappelli

Cultura

«Non sforziamoci più di tanto di far uscire dalle stanze i nostri figli ma sforziamoci ad entrarci noi, se non si sentono ascoltati cercano altri mondi».
Così Gioacchino Cappelli sintetizza il messaggio terapeutico per i genitori lanciato dallo spettacolo “Io, nessuno” che ha scritto, dirige e interpreta stasera nell’ultimo giorno di programmazione del “Cantiere poetico per Santarcangelo”. Sotto la lente d’ingrandimento uno dei fenomeni che sta colpendo gli adolescenti: l’hikikomori, cioè il ritiro sociale volontario che li vede chiusi in casa. “Un disagio profondo, sempre più diffuso ma ancora misconosciuto e non ben interpretato, che mette a dura prova ragazzi, famiglie e istituzioni”. Ne abbiamo parlato con Gioacchino che oggi interverrà anche all’incontro “Hikikomori. I ragazzi che si ritirano in casa”, nella sala consiliare alle 17, accanto a Elena Carolei, presidente di Hikikomori Italia Genitori, e Mirco Ciavatti, psicoterapeuta. Lo spettacolo andrà in scena alle 20 al teatro Lavatoio.
Il trentenne Gioacchino Cappelli, figlio d’arte – la madre è l’attrice Lucia Sardo e il padre il regista Marcello – è nato a Santarcangelo dove ha vissuto fino ai 4 anni e da allora ci torna oggi. Ha all’attivo già molte interpretazioni in teatro, in tivù e al cinema, tra i film: “Scossa” del 2012 di Gregoretti, Lizzani, Maselli, Russo, “Baci mai dati” di Roberta Torre del 2011, “Il dolce e l'amaro” di Andrea Porporati del 2007.
Cappelli perché questo titolo: “Io, nessuno”?
«Perché in scena io sono solo in una stanza, ci sono io e non c’è nessun altro. Mi interfaccio con il vuoto. Sto sempre sullo schermo e navigo in Internet».
Quanto è grave il fenomeno e quali conseguenze può provocare?
«Io credo che in realtà in Italia chi ha più problemi non è chi si chiude in casa, è molto più a rischio un ragazzo di 15 anni che esce e che inizia a farsi di chetamina o di coca e il fenomeno è dilagante. In Oriente il disagio degli adolescenti si manifesta in modo diverso rispetto all’Italia e all’Occidente. Comunque ripeto serve saper ascoltare e comunicare coi figli, è questa l’ancora di salvezza».
Perché l’esigenza di scrivere questo soggetto, a quale esperienza si rifà?
«Alla mia. Io l’ho vissuta in prima persona. Dal V liceo fino ai 26 anni vivevo su Internet, avevo un mio entourage, ero così bravo coi videogiochi che venivo pagato. Era il mio mondo. Poi grazie al teatro…».
Fare teatro è dunque salvifico?
«No, salvifico non direi ma mi ha dato tempo per riflettere, mi ha permesso di osservarmi, di raccontarmi…».
Nel suo caso i genitori artisti hanno fornito le armi?
Direi di sì, perché servono le armi giuste per capire quale è la propria strada, per ricercare il proprio bene, l’amore, la speranza senza gli strumenti sarebbe complicato, ed è ciò che cerco di dire nel mio spettacolo».
Questo fenomeno come lo descrive?
«Non come il male ma una conseguenza del male. Il disagio dei ragazzi è infinito e molti per paura, incapacità, solitudine decidono di non lasciare la propria camera e vivere virtualmente, ma io credo in una via d’uscita, così come si evince dal mio testo che ho scritto insieme a Elena Grimaldi in arte Zeta».
Come li vede nel futuro i ragazzi di oggi?
«Ho fiducia, i ragazzi sanno molto del mondo, più di noi e lo sanno attraverso il virtuale, internet che ha sconvolto tutto, i persi oggi siamo noi poichè il mondo si muove così velocemente che non gli stiamo dietro, loro sì. I ragazzi sono portatori del mutamento, sono il futuro».
Quindi c’è speranza?
«Certo. C’è sempre un’evoluzione, anche in tutti i mali c’è. Noi tutti tendiamo ad evolvere. Tocca a noi decidere come farlo, come perorare cambiamenti e operare trasformazioni».
Al Cantiere porta una versione ridotta del lavoro, quanto dura e cosa c’è di diverso?
«Dura un’ora e non ci sono gli altri due attori in scena: Sebastiano Sicurezza (Brown) che interpreta il mio migliore amico e Salvatore Tornitore (Turi HD) youtuber-influencer arrivato. In questo caso sono in video e il pubblico li percepisce come scenografia, che di fatto è sempre la proiezione dello schermo del mio computer».
Non sveliamo il finale?
«Direi di no, ma attimo dopo attimo l’evoluzione si compie e si va verso una rete che tutti unisce che esisteva 2000 anni fa!».

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