Ai C'Mon Tigre la Targa Mei Pimi 2022 a Faenza

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Tra sacro e profano, tra classico e contemporaneo, tra passato e futuro. Sono le dicotomie su cui si fonda C’Mon Tigre, progetto multietnico e cosmopolita, musicale e artistico, nato da un’idea di un duo che, rimanendo anonimo, ha coinvolto artisti nazionali e internazionali. Al 2014 risale il primo omonimo album, elogiato dalla critica italiana, francese e tedesca. Ora è il momento dell’album numero 3 “Scenario” che riceverà domani – nel corso del Concertone dalle 18 in Piazza del Popolo a Faenza – la Targa Mei Pimi 2022 al miglior artista indipendente dell’anno.

Sul palco con loro anche Pasquale Mirra al vibrafono e Tiziano Bianchi ai fiati.

I suoni mediterranei si mescolano ora in un caleidoscopio sonoro: jazz e sonorità brasiliane e africane, funk e psichedelia, perché, dicono, dalla musica «bisogna farsi prendere e e portare altrove». L'album ha anche una versione speciale con vinile colorato e un libro di 64 pagine impreziosito dagli scatti di Paolo Pellegrin.

Il nuovo album ha ricevuto anche il sostegno della Regione Emilia-Romagna.

C’mon Tigre, in che maniera portate avanti il compito di «trasmutare, non rimanere mai uguali a se stessi»?

«Ogni disco è è un nuovo capitolo della nostra storia che porta con sé emozioni, viaggi, ricordi, e il desiderio di condivisione, come prima del covid. Questo “Scenario” è nato tra le difficoltà di questo contesto sociale, ed è quindi il nostro disco più politico. Ispirandosi all’importante lavoro fotografico di Pellegrin, vuole essere invito a riflettere su temi sociali, ecologici e a domandarci cosa ci rende umani: la gioia, la fratellanza, la rabbia, il senso di appartenenza, il dolore, l’angoscia, la violenza, la dignità».

Definite i vostri testi «piccoli spaccati di realtà, tutt’altro che immaginifici», ma hanno spesso il sapore di un racconto cinematografico.

«Si rifanno indubbiamente a un immaginario visivo. Sono come una sorta di colonna sonora che immagina, che facciamo esplodere di volta in volta visivamente, come in “Behond the man”, in cui l’arte grafica disegna la mutazione di un corpo come riflessione sul concetto di libertà».

L’importanza della connessione con la visualità diviene per voi un vero discorso in cui si intrecciano musica e arte.

«C’è un forte legame tra le due forme d’espressione, e l’una riesce difficilmente a prescindere dall’altra nel nostro modo di lavorare. Ciò è dovuto agli ottimi rapporti che abbiamo con artisti del livello di Gianluigi Toccafondo, Anzani, Pellegrin, Danijel Žeželj… Così la musica può diventare molto più potente, come un opera d’arte che cammina al di sopra della nostra musica».

Con quella che avere definito canzone manifesto dell’album, ovvero “Kids are electric”, vi siete rivolti ai ragazzi.

“Kids are electric” parla a queste generazioni, qualunque sia il mondo in cui cresceranno potranno sempre muovere quelle energie, chiediamo loro di non avere paura di farlo. Questa è una piccola canzone manifesto, abbiamo bisogno dello sguardo lucido dei ragazzi per ricordarci di quanto abbiamo trascurato l’essenziale».

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