Affronte: un nuovo modello per difendere le spiagge

Tra il 1870 e il 2010 il livello dell’Alto Adriatico è salito tra 1,3 e 2,5 mm ogni anno, secondo i dati di Arpa. Parlare di millimetri di differenza all’anno sembra poco, ce ne rendiamo conto, ma intanto è indice di un trend continuo, cioè di un innalzamento costante, e pochi millimetri all’anno alla fine diventano centimetri. Non dimentichiamo che tutta la nostra nazione è in gran parte circondata da mari, e infatti secondo proiezioni dell’ENEA, entro il 2100, a causa dell’innalzamento del livello del mare, 5686 chilometri quadrati del nostro territorio potrebbero finire sott’acqua (sono più della superficie della Liguria, per capirci).

Inoltre, pensare che la superficie di un intero mare si sia innalzata di diversi millimetri, implica una notevole massa di acqua in più, acqua che oltre a “salire” lentamente sulle coste, esercita su di esse la sua forza, sempre maggiore. Forza che si traduce in processi di erosione e fenomeni di mareggiate sempre più marcati. E noi sappiamo che in Italia ci sono 7400 km di coste naturali con 4800 km di coste basse, di cui il 70% costituite da spiagge che sono le più vulnerabili ai processi erosivi. E l’Emilia-Romagna, vale la pena ricordarlo, ha solo coste basse.
In Italia, intanto, dal 1950 al 1999 il 47% delle coste basse (2227 km) ha subito modifiche superiori a 25 metri con prevalenza di arretramento, a cui si è aggiunto, dal 2000 al 2007, un altro 37% delle coste basse (1744 km) con modifiche superiori a 5 metri.
Insomma, in generale, nell’Adriatico c’è più acqua, che quindi è più alta e ha più forza. Forza che si esercita anche nell’erosione delle coste. Un problema che le spiagge dell’Emilia-Romagna hanno sempre avuto e che ha cercato di contrastare, con costanza e con ogni mezzo: barriere di rocce, barriere soffolte, ripascimenti. Soldi, molti, spesi ogni anno per contrastare un fenomeno naturale, che con l’aumento del livello del mare diventa sempre più grave.
Le spiagge sabbiose, ampie e dolcemente degradanti verso il mare sono la forza principale della nostra impresa turistica. Ma sono completamente sguarnite contro l’erosione. Le spiagge naturali, lasciate a sé stesse non sono fatte come quelle su cui impiantiamo gli stabilimenti balneari. Le spiagge naturali non sono piatte, hanno dune e avvallamenti formati dal vento, e hanno anche piante e arbusti che con le loro radici le “tengono ferme”. Le spiagge naturali hanno, alle spalle, una grande duna che è un elemento fondamentale dell’equilibrio delle spiagge stesse. La duna naturale è formata da lenti processi di accumulo, ad opera del vento, delle sabbie trasportate dalle correnti marine lungo costa e, in condizioni naturali, costituisce un serbatoio di sabbia in grado di rifornire le spiagge nei momenti di erosione. E non dimentichiamo che le dune costiere sono anche ambienti di estremo valore ecologico e paesaggistico, dotate di specifiche comunità vegetali che sono strettamente legate a tali ambienti che contribuiscono a consolidare.
Pensate ora alle spiagge emiliano-romagnole, quante di esse hanno ancora alle spalle la grande duna? Le spiagge “balneari”, belle e funzionali per i servizi turistici, sono perciò deboli e sguarnite verso l’erosione. E ora, a causa del riscaldamento globale, il mare è salito e continuerà a farlo. Le costose, sebbene necessarie alla nostra economia turistica, “toppe” messe ogni anno per tamponare le perdite di sabbia, come i ripascimenti artificiali fino a quando basteranno, di fronte a un mare sempre più alto e sempre più spinto verso terra?
Non è affatto un caso che il nuovo lungomare di una delle città simbolo della costa romagnola, Rimini, attualmente in costruzione, sarà 80 centimetri più alto di quello attuale, per prevenire i danni delle inondazioni provocate dalle ingressioni marine come quelle che hanno sommerso le spiagge, diverse volte, negli ultimi anni.
E se approfittassimo di questo periodo in cui siamo costretti a rivedere un po’ tutto, per valutare modelli diversi, esperimenti, innovazioni anche per la nostra spiaggia? Dei modelli che tengano conto delle esigenze dei servizi balneari, ma anche di una maggiore naturalità della spiaggia? E se ne approfittassimo per lanciare dei progetti e degli esperimenti? Se usassimo una delle spiagge libere per ricostruire un pezzetto di spiaggia naturale, con la sua duna e la sua vegetazione tipica, anche solo a scopo didattico e di divulgazione naturalistica?

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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