Affronte: stoccaggio CO2 a Ravenna? Pessima idea

A fine 2015, come è noto, è stato redatto quello che, ad oggi, resta l’impegno mondiale più importante contro i cambiamenti climatici: l’Accordo di Parigi. Firmato da 197 paesi, quel documento, all’articolo 2, fissa gli obbiettivi da raggiungere: non superare i 2 gradi di aumento della temperatura e, se possibile, stare sotto a 1,5 gradi. Ovviamente poi dice anche come farlo, all’articolo 4. E qui troviamo, a mio avviso, uno dei punti più deboli di tutto l’accordo, conseguenza del fatto che il testo dell’accordo è frutto di una lunga e difficilissima negoziazione. E infatti, nelle prime bozze dell’articolo 4 c’era questa frase: “raggiungere la decarbonizzazione nella seconda metà del corrente secolo”. Chiaro e semplice.

La parola chiave era decarbonizzazione, cioè smettere di produrre CO2, dunque smettere di bruciare combustibili fossili. Beh, quella parolina così precisa e così forte, non ha resistito alla negoziazione. Nel testo finale dell’accordo adesso c’è invece questa frase: “raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni antropogeniche e gli assorbimenti di gas ad effetto serra nella seconda metà del corrente secolo”. Fa tutta la differenza del mondo. La prima frase diceva, basta emissioni. La seconda, quella definitiva, dice: possiamo anche continuare ad emettere gas serra, basta che troviamo un modo per assorbirli dall’atmosfera e metterli da qualche parte. Insomma, ci siamo dati un grandioso alibi.
A questo la punto la domanda è: ma come si assorbe la CO2 dall’atmosfera? E dove si mette? Le tecniche e le possibilità, che effettivamente si stanno sperimentando, sono individuate nel settore del cosiddetto CCS, cioè Carbon Capture and Storage (cattura e stoccaggio di carbonio). E qui entriamo in un campo complesso e che sta praticamente muovendo ora i primi passi. Queste tecniche consistono nel catturare la CO2 dall’atmosfera oppure dalla fonte di produzione, e metterla sottoterra, in genere in vecchi giacimenti esauriti di gas o petrolio. Vi sembra fantascienza e vi inquieta pure un po’? Eppure è esattamente quello che si pensa di fare a Ravenna, dove esiste un grosso progetto di questo tipo. Il progetto è di Eni (ma guarda un po’) la quale ha apertamente dichiarato che a Ravenna vogliono creare il più grande sito di stoccaggio di CO2 al mondo. Ad essere cattivi viene da pensare che Eni voglia continuare a estrarre e bruciare petrolio, e ora cerchi di fare soldi anche con i suoi sottoprodotti, come la CO2. Decarbonizzazione? Chi era costei?
Di impianti di questo tipo ce ne sono, attualmente, in tutto il mondo solo 19, più 4 in costruzione. Sono pochi perché la tecnica è nuova, mi permetto di dire incerta (quali sono le conseguenze a lungo termine di questi giacimenti? Che succede in caso di incidenti o perdite?), e soprattutto costosissima. Sebbene se ne parli da tanto e con insistenza, la tecnica è ancora in fase sperimentale. Insomma, ci stiamo prendendo dei grossi rischi. Non è un caso che gli scienziati che fanno previsioni sui cambiamenti climatici, qualche anno fa mettevano nel conto anche l’apporto della cattura di carbonio. Cioè calcolavano quante emissioni sono previste, e a queste sottraevano la parte di CO2 che poteva essere catturata e stoccata. Beh, negli ultimi anni questo contributo viene considerato sempre meno, perché questa tecnica evolve troppo lentamente, ha troppe incognite e costi troppo alti. Insomma la scienza non ci crede più tanto. Ci credono invece politici che troppo facilmente applaudono a iniziative come quella di Ravenna (vero Conte? Vero Bonaccini?), facendo finta di non vedere che quello che ci serve è altro: smettere di produrre gas serra, spostarci su efficientamento energetico ed energie rinnovabili. Basta con gli alibi, basta con le scorciatoie che producono profitti per i grandi inquinatori come Eni e spalmano costi e conseguenze su tutti noi. Vogliamo energia pulita, non buchi sottoterra dove nascondere le nostre malefatte.

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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