Affronte. Pandemia, dobbiamo imparare in fretta

Editoriali

Sono stato indeciso se proporre in questo spazio, e soprattutto in questo momento, quanto riportato recentemente da uno studio dell’Ipbes, una Piattaforma intergovernativa di politica e scienza sulla biodiversità e i servizi ecosistemici. Stiamo tutti vivendo un periodo tremendo, con la seconda ondata del Covid19 (assolutamente prevedibile e prevista), con il timore di un nuovo lockdown, con davanti a noi molti mesi invernali, in cui il virus ha più forza. Abbiamo tutti bisogno di buone notizie, di speranze e di incoraggiamenti.

Eppure, ed è il motivo per cui ho deciso di parlarne comunque, credo fermamente che dobbiamo imparare molto, molto in fretta dai nostri errori. E cercare di fare in modo che le situazioni impreviste siano… sempre meno impreviste.
Abbiamo già scritto in queste pagine quanto sia forte il legame fra la pandemia che stiamo vivendo e il nostro modo scriteriato di rapportarci con l’ambiente naturale e con gli ecosistemi terresti. Il riassunto di questi concetti è che gli ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani e siccome stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi sempre di più, ci esponiamo ai nuovi virus.
Queste sono le cause primigenie, le radici su cui è cresciuta la pianta della pandemia. Noi stiamo combattendone i frutti, ma le cause restano lì. E proprio di questo parla il rapporto della Ipbes. Un rapporto che nasce dal lavoro di 22 esperti di livello mondiale, ai quali è stato chiesto di indagare e considerare il rapporto fra pandemie e degrado dell’ambiente naturale. Il report si intitola, molto semplicemente, “Sfuggire all’era delle pandemie” e fin da subito ci mette di fronte a numeri agghiaccianti. Negli animali, in particolare in mammiferi e uccelli, ci potrebbero essere ben 1,7 milioni di virus non ancora conosciuti. Di questi, da 540000 a 850000 potrebbero essere potenzialmente capaci di fare il salto di specie e contagiare l’uomo. Le parole del report sono terribili: “Le future pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, arrecheranno più danni all’economia mondiale e uccideranno più persone di COVID-19, a meno che non si verifichi un cambiamento trasformativo nell’approccio globale alla gestione delle malattie infettive.”
Il documento ribadisce che non è affatto un mistero la causa della pandemia: le stesse attività umane che guidano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità determinano anche il rischio di pandemie attraverso il loro impatto sul nostro ambiente. “I cambiamenti nel modo in cui utilizziamo la terra, l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura, il commercio, la produzione e il consumo insostenibili perturbano la natura e aumentano il contatto tra la fauna selvatica, il bestiame, gli agenti patogeni e le persone. Questa è la via per le pandemie”. Il rischio può essere significativamente ridotto riducendo le cause della perdita di biodiversità, e attraverso una maggiore conservazione delle aree protette e misure che riducono lo sfruttamento non sostenibile delle regioni ad alta biodiversità.
Ed è questo il punto cruciale del report: prevenire, non reagire. Fermare le cause, non limitare i danni. Questo porterebbe a vantaggi giganteschi sia in termini di sofferenze e di vite umane, sia in termini economici. I danni economici, a livello globale, dovuti alla pandemia di Covid19 sono valutati fra 8.000 e 16.000 miliardi di dollari. Ma il costo della riduzione dei rischi per prevenire le pandemie sarebbe 100 volte inferiore al costo della risposta a tali pandemie. Gli esperti non si tirano indietro e indicano anche una serie di punti da mettere in atto per prevenire questi scenari. Non possiamo riportarli qui, ma di certo non mancano: fornire ai decisori la migliore scienza e le migliori prove sulle malattie emergenti; prevedere le aree ad alto rischio; valutare l'impatto economico di potenziali pandemie e mettere in evidenza le lacune della ricerca; sviluppare e incorporare valutazioni dell'impatto sulla salute dei rischi pandemici e delle malattie emergenti nei principali progetti di sviluppo e di utilizzo del territorio, considerando sempre che i benefici e i rischi per la biodiversità e la salute siano riconosciuti e valutati.
Non possiamo far finta di non vedere cosa ci ha portato qua, né farci, di nuovo, trovare impreparati.

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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