Affronte. La strategia dell'Ue per l'energia offshore

Editoriali

Un paio di settimane fa, la commissione Europea ha pubblicato l’atteso Report dedicato alle energie rinnovabili provenienti dal mare. Il documento, dal titolo “Strategia della UE per sfruttare il potenziale delle energie rinnovabili offshore per un futuro climaticamente neutro”, è un altro tassello dell’ampia documentazione che segue e completa il Green Deal Europeo. Sono le linee guida che rappresentano gli strumenti attraverso i quali il Green Deal si dovrà realizzare, per arrivare agli obbiettivi di ridurre le emissioni di gas serra del 55% al 2030, e portarle a zero al 2050. È la sfida più grande e urgente che l’umanità si trova ad affrontare, e questa è la risposta della UE.

Nel percorso necessario della transizione energetica, cioè la trasformazione delle nostre fonti di energia, dalle fossili (petrolio, carbone, gas) alle rinnovabili, un ruolo chiave ce l’ha proprio l’energia che possiamo ricavare dal mare. La parte del leone la farà l’eolico offshore, ma anche altre fonti si stanno sviluppando, seppure con numeri per ora nemmeno paragonabili a quelli dell’eolico.
Di fatto, tra le tecnologie delle energie rinnovabili quelle offshore presentano il maggiore potenziale di espansione, in particolare, come già detto, per l’eolico. Qui la UE riveste già il ruolo di leader mondiale (ad oggi, il 42% della capacità di eolico offshore installata nel mondo, è in Europa), ma i suoi mari promettono ancora tantissimo, al punto che gli attuali 12 GW di capacità di eolico installati in mare, potranno diventare 60 al 2030, e ben 300 al 2050. Uno sviluppo enorme che però occuperà, anche quando al completo (quindi al 2050), solo il 3% dello spazio marittimo europeo e “può pertanto essere compatibile con gli obiettivi della strategia dell’UE sulla biodiversità”. Di fatto, si tratta di moltiplicare di quasi 30 volte la capacità delle energie rinnovabili offshore entro il 2050.
L’eolico non è l’unica energia ricavabile dal mare, ma lo sviluppo delle altre tecnologie e le loro possibili applicazioni le rendono quasi nemmeno confrontabili con l’eolico. In pratica, con l’energia ricavata per esempio dal moto ondoso, o dalle maree, si conta di potere arrivare a 1 GW nel 2030 (quindi sessanta volte in meno dell’eolico) per poi auspicabilmente espandersi a 40 GW nel 2050 (poco più di un ottavo di quanto si stima per l’eolico). Altre tecnologie, ancora molto più indietro, sono i biocarburanti ricavati dalle alghe (biodiesel, biogas e bioetanolo), la conversione dell’energia termica oceanica (OTEC) e gli impianti fotovoltaici galleggianti (già installati in acque prive di sbocchi al mare, ma per lo più allo stadio di ricerca e dimostrazione in mare, con soli 17 kW installati).
Ovviamente, anche considerando solo l’eolico, e la sua prevista enorme crescita da qui a 2050, è evidente che questa stessa crescita va accompagnata, favorita e in qualche modo costruita. La Commissione Europea individua e illustra nel suo documento alcuni dei punti cruciali perché questo avvenga. Fra questi, al primo posto, c’è la questione della pianificazione marittima. È evidente che l’occupazione dello spazio marittimo crea conflitti di interessi diversi, che vanno dalla tutela dell’ambiente naturale alle diverse attività economiche (pesca, acquacoltura, trasporto, produzione di energia, ecc.). La pianificazione è uno strumento essenziale per anticipare i cambiamenti e prevenire e attenuare i conflitti, ed infatti è stato regolato da una direttiva UE che impone a tutti gli Stati membri costieri di presentare alla Commissione Europea piani nazionali di gestione dello spazio marittimo entro il 31 marzo 2021. Direttiva che l’Italia non rispetterà perché non è ancora (lontanamente) pronta per farlo.
In ogni caso, la pianificazione marittima è il primo, ma non l’unico punto necessario per favorire lo sviluppo auspicato dell’offshore. Altri punti individuati, fra gli altri: un quadro normativo dell'UE più chiaro, mobilitare gli investimenti del settore privato nelle energie rinnovabili offshore (parliamo di 800 miliardi di euro, e “il capitale privato dovrebbe fornire la maggior parte di questi investimenti”), indirizzare ricerca e innovazione a sostegno di questi progetti. Insomma, c’è… un mare di lavoro da fare ma le indicazioni e gli indirizzi politici, a livello UE, ci sono tutti. Bisogna agire, e anche molto in fretta, perché la crisi climatica è un’emergenza, e come tale va affrontata.

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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