Affronte. Il cambiamento troppo lento

Editoriali

Negli ultimi tempi mi è capitato spesso di avere incontri con studenti, in genere di scuole medie o superiori. Si parla della crisi ambientale, del dramma del consumo delle risorse e, ovviamente, dei cambiamenti climatici. La comprensione di questi temi e di queste problematiche è sempre molto alta, sia perché in genere a scuola se ne parla con gli insegnanti, sia perché le conseguenze le vediamo ormai ogni giorno, drammaticamente, nei telegiornali. Ad ogni occasione di incontri la domanda di questi studenti, preoccupati dal futuro davanti a loro è: ce la faremo?

In genere svicolo dalla risposta, salvandomi con un dobbiamo farcela, non possiamo permetterci di fallire e dobbiamo continuare a mettere tutto il nostro impegno per cambiare questo sistema che non funziona più. La verità è che, occupandomi da oltre venti anni di queste tematiche, io in effetti il cambiamento lo vedo. Lo vedo sia nella generale presa di coscienza e nella consapevolezza del problema, e lo vedo anche nella strada che indubbiamente è stata avviata, della riconversione energetica. Lo vedo un po’ meno nella classe politica, dove spesso c’è uno scollamento fra la “visione” e gli strumenti messi in campo dalla UE, e l’impegno poi dei singoli stati, o delle amministrazioni locali, ai quali come minimo sembra non essere chiara l’urgenza. Stiamo dunque cambiando? Secondo me sì, il punto però cruciale è il tempo: lo stiamo facendo troppo lentamente.
Ce lo dice anche l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, nel report provvisorio (il definitivo uscirà il prossimo marzo) sullo Stato del Clima Globale 2020. Ognuno dei key messages, delle notizie chiave, contenute in quel report è una staffilata al nostro immobilismo, e alle nostre reticenze verso un cambiamento necessario e da fare subito.
Le concentrazioni dei principali gas serra hanno continuato ad aumentare nel 2019 e nel 2020 e la temperatura media globale nel 2020 sarà una delle tre più calde da quando abbiamo iniziato a misurarla. Gli ultimi sei anni, compreso il 2020, saranno probabilmente i sei anni più caldi della storia. Il livello del mare continua a salire, ma recentemente è salito a un ritmo più elevato, in parte a causa dell’aumento dello scioglimento delle calotte glaciali in Groenlandia e in Antartide. Il mare cresce, ed è un grosso problema per noi, ma lui stesso ha i suoi problemi. Oltre all’acidificazione degli oceani, questi stanno diventando sempre più caldi, oltre l’80% ha subito almeno un’ondata di calore marino nel 2020, in gran parte parliamo di ondate di calore marino classificate come “forti” (43%) e “moderate” (28%).
Nell’Artico, l’estensione minima annuale del ghiaccio è stata la seconda più bassa mai registrata con punte da record nei mesi di luglio e ottobre. La calotta di ghiaccio della Groenlandia ha continuato a perdere massa; la perdita di ghiaccio dovuta al distacco degli iceberg è stata la più alta da quando lo registriamo coi satelliti (40 anni). In totale, circa 152 miliardi di tonnellate di ghiaccio sono andati persi dalla calotta glaciale tra settembre 2019 e agosto 2020.
Nel 2020 si sono verificate forti piogge ed estese inondazioni su gran parte dell’Africa e dell’Asia. Le forti piogge e le inondazioni hanno colpito gran parte del Sahel, il Grande Corno d’Africa, il subcontinente indiano e le zone limitrofe, la Cina, la Corea e il Giappone, e parti del sud-est asiatico in vari periodi dell’anno. Con 30 tempeste registrate (al 17 novembre), la stagione degli uragani nell’Atlantico settentrionale ha registrato il maggior numero di tempeste. L’ultima della stagione è stata anche la più intensa.
Una grave siccità ha colpito molte parti dell’interno del Sud America, quest’anno, soprattutto nel nord dell’Argentina, in Paraguay e nelle zone al confine occidentale del Brasile. Le perdite agricole stimate sono state vicine ai 3 miliardi di dollari solo in Brasile.
Gli eventi climatici e meteorologici hanno innescato significativi movimenti di popolazione e hanno colpito duramente le persone vulnerabili, anche nella regione del Pacifico e in America Centrale.
Secondo alcune stime, abbiamo già ora il 20% di probabilità di arrivare a un aumento globale di temperatura di 1,5 gradi, limite stabilito nell’accordo di Parigi, già nel 2024. Che è domani.

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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