Venerdì scorso, in prima pagina, questo giornale titolava: Valmarecchia “bombardata”. L’articolo parla di frane, allagamenti e grandinate con “chicchi grandi come noci”. Il disastro ovviamente, non ha colpito solo il nostro entroterra. Secondo l’ANBI, l’associazione nazionale dei consorzi di bonifica, “in poco più di 2 ore a Reggio Emilia sono caduti quasi 140 millilitri d’acqua (ml. 138,80 per la precisione) a Bagnolo circa 100, a Villa Argine 80 millilitri e a Case Cervi 120 millilitri. Si è trattato di quantitativi assolutamente eccezionali, di cui non si ha memoria negli ultimi 50 anni; basti pensare che la piovosità media annua di Reggio Emilia si aggira tra i 750/800 millilitri. In sostanza, in 150 minuti è caduta sul Reggiano 1/6 della pioggia complessiva annua”.
Molte volte, anche su queste pagine, abbiamo ricordato come una delle conseguenze più serie, ma purtroppo anche più certe e già attuali, del riscaldamento globale sia l’estremizzazione dei fenomeni e degli eventi metereologici. Significa, lo ricordiamo, che eventi molto intensi ma naturali e ben noti, come appunto tempeste, piogge abbondanti e grandinate, fra gli altri, aumentano di intensità e di frequenza. La stessa Coldiretti, d’altra parte, ne parla ormai apertamente e senza ombra di dubbio: “La tempesta di piena estate conferma la tendenza alla tropicalizzazione che si manifesta con una elevata frequenza di eventi estremi con manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi. L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici con sfasamenti stagionali ed eventi estremi che hanno causato una perdita in Italia di oltre 14 miliardi di euro nel corso del decennio”.
La grandine, in particolare, è sempre stata un evento estremo e occasionale, temuto da tutti per i possibili danni alle cose, ma soprattutto dagli agricoltori. In effetti si trovano ormai parecchi studi che cercando di mettere in relazione gli eventi di grandinate, e i danni da essi causati e l’aumento delle temperature globali. Per alcuni ricercatori la correlazione è chiara e dimostrata. Uno studio svolto in Olanda nel 2010 arrivava a prevedere che entro il 2050 i danni annuali da grandine all’agricoltura potrebbero aumentare tra il 25% e il 50%, con impatti notevolmente maggiori sull’orticoltura in serra, soprattutto in estate, di oltre il 200%.
L’Italia, d’altra parte, è al centro di questi mutamenti. Hot-spot riconosciuto per i cambiamenti climatici, assiste ad aumenti di temperatura più marcati rispetto alla media europea, che a sua volta ha valori più alti rispetto alla media globale. Il nostro territorio reso vulnerabilissimo da politiche di consumo del suolo e di gestione senza nessuna visione a medio e lungo termine, che hanno portato a un grave dissesto idrogeologico, è sotto l’attacco di eventi estremi che crescono e accumulano danni materiali ed economici sempre più importanti. Legambiente ha calcolato che dal 2010 fino ai primi giorni del novembre scorso, l’Italia ha sopportato danni rilevanti in 350 Comuni dovuti al maltempo, 73 giorni di stop a metro e treni, 72 giorni di blackout elettrici, e sono aumentati la frequenza e gli impatti delle ondate di calore.
La politica, troppo spesso, parla di cambiamenti climatici e riscaldamento globale in maniera scontata, impersonale, quasi dovuta; poi nei fatti dimostra quasi sempre di non avere realmente capito la portata del fenomeno e la necessità di una rapida, profonda, capillare transizione ecologica. Ci si riempie la bocca di sostenibilità e svolta green, poi nei fatti guai a toccare lo status quo, guai a togliersi di dosso gli occhiali da presbiti del consenso immediato a scapito del futuro in rovina lasciato ai più giovani.
*Naturalista e Divulgatore scientifico – ex europarlamentare