Affronte: Il G20 e l'emergenza climatica

Editoriali

E' uscito pochi giorni fa un interessante report, straordinariamente pieno di dati e informazioni, che analizza come i paesi del G20 stanno affrontando la lotta contro i cambiamenti climatici. Come si sa, i G20 sono i 19 paesi più industrializzati del mondo, con l’eccezione di Spagna e Paesi Bassi ed in più con l’Unione Europea. Un lavoro mastodontico e molto ben dettagliato realizzato da una coazione che va sotto il nome di Climate Transparency e mette insieme esperti di istituti di ricerca e associazioni non governative, di tutti i Paesi del G20.

Ovviamente non è possibile nemmeno riassumere i risultati in queste brevi righe, ma qualche spunto è interessante e vale la pena di renderlo evidente.
Attualmente, eventi meteorologici estremi provocano ogni anno circa 16.000 morti e perdite economiche pari a 142 miliardi di dollari nei paesi del G20. Sebbene i paesi meno sviluppati siano generalmente più colpiti di quelli industrializzati, diversi paesi del G20 sono tra i primi 31 paesi del mondo con il più alto tasso di mortalità annuale per popolazione totale a causa di eventi meteorologici estremi. In effetti, tutti i paesi del G20 hanno ormai piani di adattamento, ad eccezione dell’Arabia Saudita. Ma i risultati non sembrano per ora quelli sperati.
La crescita economica è sempre andata di pari passo con la crescita delle emissioni di gas-serra, e il “disaccoppiamento” non pare essere avvenuto: le emissioni di CO2 legate all’energia sono aumentate dell’1,8% nel 2018 proprio a causa della forte crescita economica e di un approvvigionamento energetico da combustibili fossili sempre maggiore. Infatti, ancora oggi l’82% del mix energetico dei paesi del G20 è costituito da combustibili fossili. Questo deve scendere ad almeno il 67% entro il 2030 e al 33% entro il 2050 a livello globale per essere compatibile con un aumento di temperatura che non superi 1,5°C.
Nel settore dei trasporti le emissioni hanno continuato ad aumentare nel 2018 (+1,2%). Gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia hanno le più alte emissioni pro capite. Quelle degli statunitensi sono 24 volte superiori a quelle degli indiani. Salta all’occhio come la Cina abbia venduto oltre un milione di auto elettriche nel 2018. Secondo il report, la Cina ha anche la politica dei trasporti pubblici più progressista di tutto il G20.
Nel 2018 le emissioni del G20 nel settore dell’edilizia sono cresciute più che in qualsiasi altro settore (+4,1%). Gli Stati Uniti, l’Australia e l’Arabia Saudita hanno registrato le emissioni pro capite più elevate e nonostante ciò tutti e tre mancano di politiche ambiziose per ridurre sostanzialmente le emissioni nel settore. Sono invece all’avanguardia la Ue e in particolare Francia e Germania che sono gli unici membri del G20 con strategie a lungo termine per l’adeguamento degli edifici. Serve però un tasso di ristrutturazione degli edifici pari al 5% annuo, ma così non è, al momento.
L’aumento delle emissioni industriali del G20 (+3,1%) rimane molto problematico. L’India e la Cina sono tra i paesi del G20 con le politiche di efficienza energetica più avanzate. Tuttavia, nessun paese del G20 ha in atto una strategia a lungo termine per ridurre le emissioni di energia industriale del 75-90% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2050, il che sarebbe compatibile con un aumento di temperatura di 1,5°C.
Anche le emissioni di gas serra del G20 prodotte dall’agricoltura continuano ad aumentare, con l’allevamento di bestiame come motore principale che rappresenta il 40% delle emissioni agricole. India, Cina e Messico sono al primo posto per le loro politiche di deforestazione a lungo termine, ma solo l’India ha politiche forestali compatibili con un aumento temperatura di 1,5°C.
C’è molto altro nel report, che invito a cercare in rete. Ma il succo resta quello: si sta facendo tanto, non si sta facendo abbastanza e le emissioni continuano ad aumentare, nono stante i proclami e le proteste di piazza.

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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