Affronte: il flop della COP25

Editoriali

Il primo dato è che è stata la COP più lunga di tutte, da 25 anni a questa parte. E questo perché avrebbe dovuto concludersi venerdì 13, e invece, non essendoci accordo ancora su diversi punti di discussione, le negoziazioni sono proseguite fino al primo pomeriggio di domenica. A dimostrazione di quanto difficili e complicate siano le decisioni in questi consessi, nonostante la società civile che in maniera sempre più ampia e decisa, soprattutto fra i giovani, chiede invece misure drastiche e decisioni coraggiose.

E infatti il secondo punto che dobbiamo tristemente annotare è che è stata una Conferenza fallimentare. La montagna della lunga discussione ha partorito il topolino di un documento di intenti finale, il testo “Cile-Madrid: tempo di agire” che rappresenta, con le sue quattro paginette per 36 punti, appena appena il minimo sindacale. D’altra parte, lo dice lo stesso Segretario delle Nazioni Unite, Gutierrez: “Sono deluso dai risultati di #COP25. La comunità internazionale ha perso un'importante occasione per mostrare una maggiore ambizione in materia di mitigazione, adattamento e finanza per affrontare la crisi climatica.”
Seduti al tavolo, 196 Paesi, più l’Unione Europea (che a questi tavoli parla con una voce sola). In discussione, lo avevamo scritto nei giorni scorsi, era principalmente il meccanismo per la revisione degli NDC, cioè degli impegni dei singoli paesi per la riduzione delle emissioni. Gli impegni attuali, sottoscritti a Parigi nel 2015, porterebbero il pianeta, se rispettati a pieno, a un innalzamento di temperatura dai 2,7 ai 3,2 gradi, ben oltre l’1,5 previsto dall’Accordo di Parigi e chiesto dalla comunità scientifica. A Madrid si discuteva quindi di come e quanto migliorare i nuovi piani, entro il 2020. Alla fine, solo 84 Paesi si sono impegnati a presentare piani più restrittivi. Tra questi, non ci sono Stati Uniti, Cina, India e Russia, che insieme rappresentano il 55% delle emissioni climalteranti.
Altri punti su cui le discussioni si sono incagliate sono l’Art. 6 dell’Accordo di Parigi, che dovrebbe istituire un meccanismo globale di scambio dei certificati di carbonio, come quello che già da oltre 15 anni abbiamo in Unione Europea (si chiama ETS, Emission Trading System) e per la verità non è che qua stia funzionando benissimo, ma che comunque su basa su principi giusti.
Altro punto controverso, di nuovo, il famigerato “Loss and damage”, cioè quel sistema per cui chi subisce ingenti danni a causa dei cambiamenti climatici, dovrebbe essere compensato da risorse economiche provenienti dai paesi responsabili degli stessi, cioè i paesi sviluppati. In pratica, se e quando un’isoletta del Pacifico finirà sott’acqua e dovrà spostare tutta la sua popolazione da un’altra parte, chi pagherà? Se il meccanismo fosse efficace e ben definito, pagherebbero i responsabili, quindi tutti i paesi che maggiormente hanno contributo alle emissioni in atmosfera, a partire dagli Usa che infatti sono stati i maggiori oppositori a questa misura, bloccandola per l’ennesima volta.
Ritengo che mai come questa volta, la differenza fra quello che avviene fuori e dentro la COP sia stata così ampia ed evidente. Tutte le COP (io ne ho seguite quattro, sul posto) sono accompagnate da dimostrazioni e manifestazioni, ma mai come quest’anno la consapevolezza dei cittadini è così ampia e la richiesta di interventi concerti così forte. Ma poi, là dentro, ci sono da mettere d’accordo quasi 200 paesi diversi, tutti che devono difendere anche (o solo) i loro interessi particolari. E serve coraggio, tanto, perché le scelte necessarie vanno contro lo status quo, contro la società così come l’abbiamo pensata finora, contro gli enormi interessi economici in gioco. Serve una politica fatta non per accontentare più persone possibili, ma per il bene di tutti.
La prossima Conferenza sarà a Glasgow, il prossimo novembre, e molte delle decisioni sono state rimandate a quella data, per una COP26 che a questo punto potrebbe diventare uno snodo cruciale. L’Accordo di Parigi lì sarà messo alla prova, o tiene, oppure, in qualche modo, abbiamo scherzato. Con le premesse di questa COP fallimentare appena conclusa, è difficile essere ottimisti.

*Naturalista e Divulgatore scientifico - ex europarlamentare

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