Acetaie aperte, tutte le sfumature del balsamico

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Una radice comune e un aggettivo che li affratella: “balsamico”. Ma non c’è un solo aceto in Emilia, e in questi giorni sarà possibile incontrare i produttori, capire le differenze e i pregi delle diverse produzioni grazie ad “Acetaie aperte”, l’appuntamento organizzato per domenica prossima dai Consorzi di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop. Un appuntamento che ogni anno richiama migliaia di visitatori provenienti da tutta la regione e oltre. I turisti del gusto, infatti, non si sono mai fermati, addirittura si stima che nei tre anni precedenti sia cresciuto al ritmo del 10% annuo.

Porte aperte in acetaia

Sono 33 le acetaie che hanno aderito con proposte di visite ai luoghi della produzione e dell’affinamento, degustazioni dei prodotti e intrattenimento. Per tutta la giornata di domenica terrà aperto anche il Museo dell’ Aceto balsamico tradizionale a Spilamberto curato dalla Consorteria dedicata alla tutela di questo prodotto antichissimo che rappresenta la punta di diamante della produzione. Oltre alle degustazioni di aceto balsamico in purezza o in abbinamento ad altri prodotti tipici del territorio, ci saranno i tradizionali percorsi guidati nei locali di produzione, con spiegazione dell’intera filiera di entrambi i prodotti, Dop e Igp, che seguono disciplinari differenti e danno aceti diversi sia pure accomunati, appunto, dal medesimo aggettivo “balsamico” certificato. Il programma e gli indirizzi indirizzi delle singole acetaie sono sul sito www.acetaieaperte.com

Due storie, un patrimonio

Nelle due versioni certificate, Dop e Igp, oggi l’aceto balsamico è uno degli ambasciatori del Made in Italy agroalimentare nel mondo. Sintetizzare le differenze è quasi banale ma doveroso. L’aceto tradizionale Dop è fatto solo con mosto cotto, invecchia minino 12 anni, e almeno 25 anni per l’extra vecchio, si consuma in purezza. Per l’Igp gli ingredienti sono mosto e aceto di vino e le maturazioni vanno dai 60 giorni ai 3 anni e si può usare anche in cottura nelle preparazioni. Ovviamente cambiano le quantità, le possibilità e modalità di reperimento e anche i costi. L’Aceto Balsamico di Modena Igp (una cinquantina le aziende socie del Consorzio) ha una produzione di quasi 91 milioni di litri l’anno che esporta per oltre il 92% in 120 Paesi del mondo. Il fatturato alla produzione sfiora i 360 milioni di euro, e quello al consumo supera i 900 milioni.

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop (con circa 200 soci del relativo Consorzio, fra i quali anche minuscole aziende famigliari che producono solo 100 bottiglie all’anno) quest’anno conta di tornare ai livelli del 2019, recuperando parte della produzione e puntando a imbottigliare 100mila bottigliette da 100ml, ovvero l’equivalente di 10mila litri.

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Due Consorzi uniti per difendere il “balsamico” e raccontare le differenze Costantemente a rischio di imitazioni, perché è un prodotto di successo. Nei giorni scorsi la possibilità concessa alla Slovenia di chiamare balsamici i propri aceti contenenti mosto ha messo in fibrillazione i consorzi di tutela emiliani, e la stessa Regione Emilia-Romagna, che ora stanno facendo pressing sul governo italiano. Oggi le sole tre denominazioni registrate con la dicitura “balsamico” sono tre: l’Aceto Balsamico di Modena Igp, l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop. Prodotti con caratteristiche diverse che da sempre convivono e condividono l’origine emiliana di cui sono espressione, e che la stessa Unione europea certifica. Come dice il presidente del Consorzio dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop Enrico Corsini: «Da mesi ci siamo attivati con le istituzioni per bloccare questa iniziativa che mette a rischio i nostri prodotti, speriamo che il Governo si muova. C’è un attacco generalizzato dell’Europa contro le nostre Dop e Igp, e noi in Emilia-Romagna ne abbiamo tante perché abbiamo una storia agricola e una cultura del cibo e della produzione alle spalle. Perciò, ci siamo dati disciplinari rigidi e costosi che danno anche garanzie sulla salubrità, che prodotti generici invece non danno. Se ora sfondano su prosecco o balsamico, sarà ancora più facile mettere a rischio anche altri prodotti italiani». Sulla stessa lunghezza d’onda è la presidente del Consorzio dell’Aceto Balsamico di Modena Igp Mariangela Grosoli: «Stiamo cercando di coordinarci col ministero per avviare azioni formali e legali. È un attacco costante su tutte le nostre denominazioni italiane e questo necessita di una presa di posizione e di un ripensamento della nostra presenza nelle commissioni europee, nonché la necessità di costruire lobby buone che possano prevenire questi rischi. Noi ci siamo dati regole per proteggere prodotti che fanno parte delle nostre tradizioni». Il rischio concreto è che si generi ulteriore confusione nei consumatori, a scapito ovviamente anche della redditività delle aziende. Fra l’altro già sul territorio emiliano romagnolo stesso le insidie non mancano, si chiamano “condimenti” che evocano l’aceto balsamico pur non avendo nulla a che fare con le produzioni certificate. Anche su questo i due Consorzi sono unanimi: «I condimenti rappresentano un danno e una scelta produttiva miope –sottolinea Grosoli – perché complicano l’attività di tutela di un prodotto. Il nostro statuto impegna i soci a non utilizzare il termine “balsamico” o “Modena” per altri prodotti che non siano certificati qualcuno non è stato d’accordo ed è fuori ». Già erano serviti lustri per marcare le differenze fra Dop e Igp degli aceti balsamici nostrani. «Da anni lavoriamo insieme e abbiamo capito che il modo migliore è presentare i nostri aceti insieme, ma raccontare bene le due storie – sottolinea Enrico Corsini –. A volte è più facile farlo fuori dall’Emilia-Romagna stessa, dove tutto appare chiaro subito ai consumatori». «Il “balsamico Igp” ha una storia più recente è un fratello diverso del “tradizionale Dop”, però ha consentito di far crescere aziende, creare posti di lavoro e portare il nome di Modena nel mondo –sottolinea Mariangela Grosoli –. Oggi i nostri soci sono poco più di 50 e rappresentano il 90% della produzione, fra questi ci sono i nomi antichi che hanno fatto storia del settore e anche nuove aziende, oggi anche straniere e molto grandi, consapevoli di dover essere fedeli alla tradizione, al disciplinare e tutelare i consumatori».

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