Acetaia del Cristo: "Il balsamico tradizionale si cresce come un figlio"

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«L’aceto balsamico tradizionale non si fabbrica, non si fa nemmeno, ma si cura come un figlio. Vale a dire che io, produttore, devo creare tutte le condizioni per farlo crescere, poi sarà lui ad evolvere prendendo la sua strada». E serviranno almeno 12 anni perché dalla materia prima, un mosto di uve autoctone, ossia spergola, trebbiano di Spagna e lambrusco Salamino e di Sorbara, si possa dire di aver “cresciuto” un aceto balsamico tradizionale di Modena Dop. Gilberto Barbieri è uno dei due soci dell’Acetaia del Cristo e per far capire il valore del suo prodotto parafrasa un vecchio slogan del Parmigiano-Reggiano, e chiama in causa la famiglia, che a sua volta è un ingrediente di questo prodotto eccezionale oggi conosciuto in tutto il mondo.

Storia e famiglia

La storia di questa acetaia, che prende nome da un antico toponimo, nasce negli anni Sessanta da un patto di amicizia e si formalizza nel 2005. Ma è frutto di un’eredità ancora più antica e scava nella tradizione tutta modenese di approntare una batteria di aceto come dote per i figli al momento della loro nascita, curandosi di quelle botticelle all’ombra dei solai fino al momento in cui quel figlio avesse preso la propria strada. L’Acetaia del Cristo è circondata da 3 ettari di vigna coltivati in biologico che forniscono la materia prima, da siepi e boschi nel cuore delle piatte campagne modenesi di San Prospero, coi campi disegnati da canali e punteggiati da case antiche dalle molte finestre. A creare l’azienda furono il padre e il nonno dei due soci Gilberto Barbieri e Daniele Bonfatti. Oggi questa acetaia è la principale produttrice di balsamico tradizionale di Modena. Dalle circa 2000 botti e botticelle tutte in produzione, alcune delle quali risalenti all’Ottocento, si estraggono infatti ogni anno circa 1600 litri di prezioso “oro nero” che finisce nelle bottigliette firmate Giugiaro (dopo un rigoroso esame organolettico e di laboratorio da parte della commissione del Consorzio che procede anche a confezionamento e sigillatura) e delle quali, in una teca, si conserva la “numero uno” con l’etichetta del Consorzio.

Il tempo e la cura

Come si è ben capito, il tempo è un ingrediente fondamentale. Raccolta l’uva, chiarificato naturalmente il mosto in vasche di acciaio, questo va alla cottura a fuoco diretto per circa 6/7 ore. Quando si forma la crosta si schiuma e una volta raffreddato per una notte si mette in vasche di cemento per un mese dove parte la fermentazione, prima di passare nuovamente in acciaio fino alla successiva primavera e solo dopo nelle botti madri. Quindi verrà distribuito nelle batterie di affinamento dove il futuro balsamico sosta almeno 12 anni per l’etichetta “tradizionale” e almeno 25 anni per quella “extra vecchio”. Dopo un tempo altrettanto lungo di rabbocchi a scalare fra la prima e l’ultima botte della batteria. Per dare un’idea della proporzione: «Da un quintale di uva si ricavano 70 litri di mosto, che diventano 30/40 una volta cotti, e in 25 anni se ne ricava un litro di aceto balsamico», spiega Barbieri. Il resto evapora e si trasforma nell’invitante profumo che invade tutto l’ambiente intorno. Le botti di maturazione possono essere solo di alcuni legni: rovere, castagno, gelso, ginepro, ciliegio, robinia e frassino. Nel parco che circonda l’acetaia ne sono stati piantati alberi e arbusti di ogni varietà. Ogni legno porta la propria impronta aromatica, ma una costante è che «più la botte è vecchia, più è buona per il nostro scopo», sottolinea Gilberto Barbieri. Da disciplinare, l’aceto deve entrare in contatto almeno con due di queste essenze. «Noi ci siamo dati un tratto distintivo: dopo il primo passaggio in botti madri di rovere – spiega Daniele Bonfatti –, continuiamo l’invecchiamento in batterie dello stesso legno, per imprimere al prodotto finale un suo bouquet e identità precisi». Differenze aromatiche nette e originali dettate dalle diverse fibre dei legni: il fruttato nell’aceto maturato in ciliegio, resinoso nel ginepro, più asprigno di mora nel gelso. All’Acetaia del Cristo le visite sono all’ordine del giorno, e appassionati e curiosi arrivano da tutto il mondo, ovviamente si può acquistare anche on line.

Aceto balsamico e celebrità. I modellini delle Ferrari precisi al micron sono in una teca fra le 46 batterie dedicate alle celebrities clienti dell’acetaia, e anche loro raccontano qualcosa. Barbieri e Bonfatti hanno mantenuto infatti per anni le batterie di aceto personali di Piero Ferrari, ora ne seguono l’andamento direttamente a casa dell’illustre cliente dove l’aceto continua a maturare. C’è anche la batteria di Michael Dauglas che ogni anno Natale riceve la sua quota di prezioso aceto balsamico tradizionale, come accade a Ornella Muti, o talvolta alla regina Elisabetta d’Inghilterra e pure a un misterioso e famoso cliente che le sue botti personali le ha volute dipingere di bianco.

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