Abbandonati dalla sanità: in 6 guariti dal coronavirus a Cesena

Cesena

CESENA. «Ci hanno voluto raccontare che avevamo tutti una semplice influenza. Ma nessuno ci voleva visitare e ci costringevano contemporaneamente a restare chiusi in casa. Solo quando ci siamo potuti fare da soli degli esami del sangue abbiamo scoperto ciò che in cuor nostro sapevamo già. Abbiamo vinto il coronavirus. Ma portiamo addosso ricordi e cicatrici che non ci lasceranno più».
Una famiglia di S. Egidio, babbo, mamma, figli e due nonni ultra settantenni che ora non hanno più gusto ed olfatto, stanno meditando di rivolgersi allo studio legale dell’avvocato Raffaele Pacifico per intentare una causa o chiedere un risarcimento danni. Per essere stati abbandonati dalla sanità durante un’emergenza pandemica che li ha visti tutti coinvolti.
Malattia senza diagnosi
«Era il 9 marzo ad alle 22 circa il presidente del consiglio Giuseppe Conte annunciava all’Italia che stava iniziando il lockdown. Il 15 marzo mio figlio ha scoperto di avere la febbre. Aveva 37,5 ed il medico di base diceva al telefono di non preoccuparsi. Perché non è febbre da Covid-19».
Il medico di medicina generale di questo nucleo che vive nelle prime campagne di Cesena, è lo stesso per tutti; e non visiterà mai nessuno durante il cuore epidemico dell’intera vicenda.
«Intanto per mio figlio, che ha 16 anni, persiste nei giorni seguenti la febbriciattola con mal di testa molto forte. Il 18 marzo mi sono svegliata io con dolori ovunque alle ossa e febbre. Una febbre bassa (non più di 37.5) ma mal di testa, dolori muscolari e ossei tali da costringermi senza possibilità alternative a stare a letto. Lo stesso giorno inizia la febbre per mio babbo (che di anni ne ha 74) ed un fortissimo mal di gola anche a mia mamma».
Al pomeriggio di quel giorno viene richiamato il medico di base. «Il medico mi dice di autosegnalarmi all’igiene pubblica. Spiega che lui stesso proverà a farlo, ma le linee sono tutte intasate e nessuno risponde. Provo anche a fare il 1500, numero nazionale per emergenza Covid-19, ma senza successo alcuno».
Passano altri due giorni ed il 20 marzo anche la figlia minore, 13 anni, ha la febbre.
«Lei ha la febbre a 39 ed un gran mal di testa. Nessuno dopo ben 4 giorni a quanto pare era intanto riuscito a segnalarci come soggetti potenzialmente infetti da coronavirus. Tutti eravamo tappati in casa, tutti impauriti, unico obiettivo cercare di isolare completamente mio marito che non mostrava segni di malattia e continua ad andare a lavorare». Lui, 48 anni, lavora in una importante azienda cesenate con centinaia di dipendenti. «Adesso che sappiamo com’è andata è da brividi pensare ai rischi di contagio generalizzati, che tutti potete ben immaginare. Nessuno ci aveva fatto esami per capire se il nostro era coronavirus. Né mio marito in azienda né noi che lavoriamo tutti in agricoltura, comparto che non si è mai fermato, avevamo obblighi di quarantena».
Che fare di più?
Il 21 marzo si inizia ancora la trafila delle chiamate, prima il 1500 numero nazionale, poi il numero verde per i casi regionali. «Finisco con il riuscire a parlare con l’igiene pubblica di Cesena dove per ben più di 20 minuti racconto tutto quello che ci sta succedendo. Mi hanno liquidato dicendo che… “Sarà una semplice influenza stagionale”. Ho provato a spiegare che i miei genitori erano vaccinati per quella. Ho anche detto che mio babbo aveva avuto un incontro al bar con una persona poi risultata positiva. Ma nulla, mi dicono che sono trascorsi troppi giorni (solo 9 ne erano in realtà passati da quell’incontro) e sicuramente il nostro non era Covid. Intanto però stavamo malissimo».
Il nonno ha la febbre alta e dolori alla schiena lancinanti, la nonna mal di gola e dolori che la costringono a letto. Tutti e due a posteriori perderanno olfatto e gusto. «Io avevo tosse secca da strozzarcisi e i miei figli erano in via di guarigione: la piccola dopo tre giorni di 39 di febbre è tornata a stare bene, mentre al grande persisteva la febbricola. Il medico di base ci dice che è impossibilitato a vederci e visitarci e che una volta segnalati all’igiene pubblica… “se ne devono occupare loro”. Noi restiamo tappati in casa. Ma nessuno ci fa un tampone o ci obbliga a farlo. Tutti a letto con dolori e una grande paura, perché la gente intanto, fuori continua a morire».
Coronavirus dopo 2 mesi
Il 24 marzo viene richiamata l'igiene pubblica: «Segnalo che mio babbo sta malissimo e chiedo se mi possano mandare qualcuno, ma senza chiamare il 118 che pare impegnato continuamente in casi ben più gravi. Niente da fare… Mi rispondono ancora che noi abbiamo una semplice influenza e di stare a casa tranquilli e isolati. Il giorno dopo a pagamento e tramite una struttura privata della città, riesco a farmi fare una radiografia, visto che continuo ad avere febbricciatola e tosse, e la faccio fare anche a mio babbo, 74 enne ex fumatore e quindi con polmoni a rischio. Polmoniti in atto non se ne vedono. Solo qualche giorno dopo, verso il 28 marzo, iniziamo a stare meglio».
Viene chiamato l’ufficio di igiene pubblica per sapere come comportarsi. «Se è il caso che facciamo controlli prima di tornare al lavoro visto che siamo agricoltori e il nostro settore non si è mai fermato. Mi rispondono gentilmente di stare ancora 15 giorni a casa. Ma come? Io per loro avevo avuto una semplice influenza, non avevo ricevuto visite ne controlli ed ora devo “far finta di avere il Covid-19” e stare ulteriormente in isolamento? Così.. a casaccio?»
Esami privati
A distanza di due mesi con i genitori che hanno perso gusto ed olfatto, la famiglia ha avuto la possibilità a pagamento (45 euro a testa) di eseguire test sierologici di massa. Tutti sono risultati reattivi ed aventi gli anticorpi. Tutti hanno avuto il coronavirus: tutti e 6, compreso il marito che ha sempre lavorato e, pur alternando lo smart working all’ufficio assieme a colleghi ben distanziati, ha avuto anche lui in maniera asintomatica la malattia la cui guarigione per tutti è stata certificata con un tampone, voluto questa volta d’imperio dall’Ausl.
«Il test sierologico per ricerca Covid-19 lo abbiamo fatto per curiosità oltreché per il disagio invalidante da chiarire dei miei genitori. Dunque abbiamo avuto tutti il coronavirus e ne siamo usciti. Anche se con tracce per ora indelebili. Tutti siamo stati abbandonati a noi stessi. Compreso due ultra settantenni che statistiche alla mano sono tra le fasce d’età più a rischio con questa malattia. La cosa peggiore è ricordare come tutti ci dicessero che non avevamo niente di strano. Ma nessuno ci ha sottoposto a tampone. Siamo agricoltori ed avremmo potuto continuare a lavorare tutti: col pericolo di infettare chissà quante altre persone e costi sociali ancora più alti».

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