A Forlì-Cesena mancano 400 infermieri: "Ma i giovani non ci sono"

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Mancano gli infermieri e le iscrizioni al corso di laurea dedicata invece di crescere calano. «Nella nostra provincia c’è una carenza di circa 400 infermieri – afferma Marco Senni, presidente dell’Opi provinciale – e le ricadute dell’assenza ricadono principalmente sull’assistenza territoriale: pensiamo alle strutture per anziani e disabili, alle case della comunità. Le sfide dettate dal Pnrr sono fortemente centrate sulla figura dell’infermiere che in sinergia con le altre professioni socio-sanitarie deve rispondere ai bisogni primari di salute in una logica di prossimità e di vicinanza».

Il calo delle iscrizioni

«Negli ultimi anni, nonostante l’aumento dei posti messi a disposizione dall’Università, si nota un calo importante della domanda degli aspiranti infermieri – prosegue Marco Senni – a livello nazionale il calo riguarda il 9,2% e ci sono oltre 2.500 domande in meno rispetto agli anni precedenti. In Emilia-Romagna gli aspiranti infermieri sono 1.730 a fronte di 1.634 posti messi a disposizione nei 4 atenei regionali. Con più o meno gli stessi posti l’anno scorso erano stati 1.995 a correre per entrare al Corso di laurea; dunque, c’è stata una brusca frenata».

La professione di infermiere sembra dunque diventata meno appetibile per i giovani.

«Le motivazioni che stanno alla base di questi dati sono certamente diverse: non voglio cadere nel loop della questione stipendiale, ma certamente gli infermieri italiani hanno lo stipendio più basso d’Europa, in coda solo la Grecia – spiega Senni – il rinvio della firma del nuovo contratto nazionale della Sanità, con conseguente rinvio del pagamento degli arretrati è un altro elemento a nostro sfavore. E non riconoscere la professione tra i lavori “usuranti” ma semplicemente tra i lavori “gravosi” certamente non aiuta».

Cresce l’età media

I dati sul settore evidenziano che «L’età media degli infermieri italiani oggi è di 52,2 anni: nel 2019 era di 45 anni. I percorsi di carriera esistono solo nella direzione del management e ancora troppo poco, per non dire nulla, si è fatto sullo sviluppo di carriera professionale. I colleghi ci chiedono di poter lavorare meglio –- continua il presidente Opi provinciale – di avere dei percorsi di specializzazione che siano riconosciuti, ci chiedono di avere futuri infermieri formati da professori competenti (oggi c’è un professore in media ogni 1.350 studenti contro uno ogni sei studenti di altre facoltà sanitarie). La Federazione Nazionale degli Infermieri ha ben illustrato alla Politica le possibili soluzioni per cercare di arginare il problema, anche se questa situazione è il frutto della riduzione dei finanziamenti che negli anni la Sanità ha subìto. Se non si corre ai ripari il problema sarà destinato ad ingigantirsi, a rischio c’è la salute dei cittadini e la tutela di un diritto costituzionalmente sancito. È necessario che la “questione infermieristica” venga affrontata nella sua totalità a partire dalla creazione delle Lauree Magistrali ad indirizzo clinico, permettendo agli infermieri, sia dal punto vista manageriale che, soprattutto, clinico, di veder riconosciute e valorizzate diverse possibilità di inquadramento e carriera: questo è il nodo centrale a mio avviso, poiché uno studente che si appresta a scegliere una facoltà universitaria valuta anche l’evoluzione e la progressione della sua ipotetica curva di accrescimento».

Identità della professione

A questo si associa la mancata identità della professione: «l’identità non è una dote naturale, è un dono sociale che gli altri ci riconoscono; e gli altri sono rappresentati dalla Politica, dalle organizzazioni sanitarie, dai cittadini, dalle associazioni di pazienti. L’ identità è mobile, fluttuante: in pandemia eroi, e ora dimenticati; gli infermieri hanno bisogno di avere questo riconoscimento perché rappresentano lo scheletro del Sistema Sanitario; mai come adesso vogliamo lanciare questo appello affinché le istituzioni ci possano aiutare, in primis quella politica».

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