A Cesena Stiven Shpendi è meglio di Pelè

Stiven Shpendi è meglio di Pelè? Al primo impatto con il mondo professionistico, sembra di sì. Poi è tutta questione di punti di vista. È un ragazzo che non ha accusato il salto tra campionato Primavera e calcio degli adulti: frase questa che si dice sempre più raramente per un giocatore di scuola italiana. Anche gli esempi più recenti di talenti usciti dal vivaio del Cesena ebbero bisogno di un certo periodo di decantazione (Moncini) con una prudenza in certi casi esagerata prima del lancio tra i grandi (Sensi).

Ora, prendiamola un filino larga: “In quel gol nella finale contro l’Italia, Pelè si lascia cadere da un ramo di mango al quale sembrava appeso”. Prima di ingabbiarci nella ragnatela del politicamente corretto, meglio chiarire subito: lo scrisse Gianni Brera in quel famoso 1970, ammantato da sincera ammirazione per il gusto del bello che ci spazzava via, rimandando il nostro terzo mondiale al 1982. Alla fine del 2022 ci ha lasciato Pelè in quanto Edson Arantes do Nascimento, campione con innumerevoli tentativi di imitazione, tra cui Paolo Pelè Pupita, bomber sfondareti del settore giovanile del Cesena. Il gol di Pupita sui prati di Villa Silvia non era nemmeno quotato alle scommesse dei tifosi, con il bomberino di Urbania che sembrava destinato a una carriera di primissimo piano e invece non sfondò come meritava.
 A volte il settore giovanile inganna e i centravanti da 30 gol a campionato negli Allievi non riescono ad affermarsi tra i professionisti, tipo Pupita, Bombardini, Gragnaniello, Brugnettini e così via. Paolo Pupita negli anni 90 era talmente forte che metteva d’accordo tutti, da Edmeo Lugaresi ai giornalisti. In particolare, nell’inverno del 1992, il presidente si trovò circondato da un popolo vociante che chiedeva a gran voce una punta al mercato di riparazione, sfibrato dal pascolo ecumenico di Amarildo. Il presidente impose le mani e placò la ribollente torma di teenager over 70 con una delle sue massime storiche: “Ma quale punta? Ma quale mercato? Oh, ma noi in Primavera abbiamo Pupita e un cume Pupita un l’à nisùn”. Da questo e non solo da questo, nacque un’iperbole giornalistica e il soprannome Pelè Pupita. E a metà marzo del 1992, finalmente il debutto stagionale in Cesena-Udinese in Serie B: senza Lerda, il Cesena in attacco parte con Amarildo e Antonino Pannitteri, mentre l’Udinese risponde con Marco Nappi e Abel Balbo, giusto per ricordare il livello di quella B. Sul punteggio di 1-1, all’80’ Perotti prova a vincerla: dentro Pupita per Masolini. Entusiasmo nell’ala più giovane della tribuna stampa: “Eccolo, finalmente entra Pelè Pupita”. Un giornalista di Udine incuriosito chiede spiegazioni: “Pelè Pupita? Ma è così forte? È brasiliano anche lui come Amarildo?”. Risposta: “Ma no, Pelè Pupita perché è pelato, non vedi?”. L’inviato friulano non aveva colto il romagnolismo, poi capì alla visione del campo: il giovane Pupo in effetti iniziava a fronteggiare una calvizie che si era mossa in ampio anticipo come neanche Inzaghi in area piccola, ma essendo un bomberino con senso dell’umorismo, sopportava i martellamenti a suon di “Pelè Pupita” che gli rifilavano gli amici giornalisti. Un ragazzo bravo a giocare calcio col pregio di non prendersi mai troppo sul serio. Non ha fatto la carriera da prof che meritava, ma per certi versi era proprio vero: uno come Pupita non l’aveva nessuno.

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