"Ho paura, la mia famiglia è là, e i Talebani sono peggio di prima"

«Sapevo che i talebani volevano uccidermi. Sapevo solo che dovevo scappare, non importava dove, volevo solo scappare dall’Afghanistan, arrivare in Europa». Malyar è un ragazzo afgano di 23 anni, capelli scuri e profondi occhi neri che hanno visto molto più di quelli di un qualunque suo coetaneo nato in Europa, nella parte giusta del mondo. Oggi è a Forlì, inserito e protetto in un programma di accoglienza per i rifugiati. Ha un permesso di soggiorno e un futuro davanti a sé. I suoi desideri si concentrano tutti sull’ottenimento di un lavoro, di uno stipendio che gli possa garantire quell'autonomia necessaria per avere il ricongiungimento familiare e portare in Italia sua madre e i suoi fratelli più piccoli. Dall’ultima volta che li ha sentiti per telefono sono passati quasi 10 mesi: loro vivono a Laghman, «dove i Talebani hanno preso il controllo da tempo». «Forse è per questo che non sono più riuscito a parlare con mia mamma – spiega, calmo, Malyar – perché forse non è potuta scendere dal villaggio in montagna e raggiungere il paese dove ci sono i telefoni».
Forse, perché ora Malyar non ha più alcuna notizia della sua famiglia e dei suoi parenti. E adesso che i Talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan dice di non riuscire più a dormire, di essere tormentato dai brutti pensieri, di fare fatica a mangiare. «La verità – racconta, con lucidità e freddezza disarmanti mentre l’interprete, afghano anche lui, annuisce ripetutamente – è che in Afghanistan tutte le volte che esci di casa rischi di non tornarci più».