Il forlivese Sergio Flamigni e i tanti segreti di Stato

La storia maestra di vita? Non può non crederci Sergio Flamigni (Forlì, 1925): un’esistenza intera vissuta nella politica e nello sforzo di mantenere viva la memoria del bene, ma anche del male toccato al nostro Paese.
«La memoria storica può costituire un patrimonio di sapienza e di forza per i giovani che intendono operare e lottare per un futuro in cui sia possibile conquistare pace e lavoro nello sviluppo della democrazia» afferma infatti, e con questa convinzione nel 2005 ha creato il Centro di documentazione Archivio Flamigni, che mette a disposizione l’enorme massa di documenti, libri, testimonianze raccolta in una vita. Ha anche promosso la Rete degli archivi per non dimenticare che collega circa 60 realtà, mentre il 15 febbraio scorso, l’Archivio, diretto da Ilaria Moroni, ha aperto la nuova sede a Roma, alla Garbatella, all’interno di “Memo. Spazio di storia e memorie”.
Gappista, poi senatore
Nato a Forlì il 22 ottobre 1925, nel 1941 Flamigni aderisce al Partito comunista clandestino ed entra nella Resistenza. Nel 1944 diviene commissario politico della 29ª Brigata Gap “Gastone Sozzi”. Fra i suoi compiti c’è proprio quello di conservarne i documenti, e inizia così a maturare la consapevolezza dell’importanza degli archivi. Dopo la guerra partecipa alla politica prima a Forlì e poi dal 1962 a Roma, con l’incarico di membro dell’Ufficio di segreteria della Direzione nazionale, con Enrico Berlinguer, Alessandro Natta, Franco Calamandrei.Eletto deputato nel 1968, resta alla Camera per tre legislature, e nel 1979 viene eletto senatore, carica che ricopre fino al 1987, entrando a far parte di numerose Commissioni parlamentari d’inchiesta che si occupano di mafia, e poi della strage di via Fani e della Loggia P2.
Alla fine della Nona legislatura lascia l’attività parlamentare e intraprende un’intensa attività di ricerca sui fenomeni del terrorismo, della P2, della mafia.
«E nonostante tanti studi, tanti sforzi – riflette amaramente Flamigni –, l’Italia resta una democrazia con luci e ombre, forse come altre. Da noi però esistono ancora misteri non chiariti per i quali pare si è ancora lontani dalla verità. Purtroppo infatti a sabotarla non consegnando i documenti, non dicendo quanto conoscevano, erano l’ex ministro dell’Interno, poi presidente del Consiglio e della Repubblica. Erano i servizi segreti, ed erano soprattutto gli uomini della Loggia massonica P2 che raccoglieva all’epoca le massime autorità delle forze di sicurezza, collegate e fedeli ai servizi segreti dei Paesi angloamericani. Non si poteva lavorare quindi in modo soddisfacente a causa di pesanti condizionamenti».