Resilienza delle foreste, così i boschi di faggio si adattano al clima mutato

Verde
  • 16 aprile 2024

Conservare l’acqua e reagire alla siccità è un bisogno e una capacità di cui la natura è maestra. Un recente studio condotto dal Cnr in collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e la libera Università di Bolzano ha fornito importanti informazioni sulla capacità dei boschi di faggio del nostro Paese di adattarsi e resistere agli effetti del cambiamento climatico.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ha preso in esame un arco temporale di quasi 50 anni. Dallo studio è emerso che i faggi hanno la capacità di utilizzare in modo efficiente l’acqua ma attraverso processi complessi e non sempre indolori. Come spiega Paulina F. Puchi (Cnr-Isafom e Cnr-Ibe) prima autrice del lavoro, «se, durante un periodo di siccità, gli alberi chiudono i loro stomi per ridurre la perdita di acqua durante la fotosintesi, questo è segno di un aumento dell’efficienza intrinseca nell’uso dell’acqua, ma può portare alla morte della pianta a causa della carenza di carbonio nel lungo termine. Viceversa, una diminuzione nell’efficienza intrinseca comporta un aumento nella traspirazione come meccanismo di sopravvivenza durante la siccità, ma può causare la formazione di bolle d’aria (embolie) nella struttura idraulica dello xilema, con conseguenze negative sulla salute». In particolare, aggiunge Giovanna Battipaglia, docente di ecologia forestale all’Università della Campania “L. Vanvitelli”, «i risultati mettono in luce la diversità delle strategie di utilizzo dell’acqua impiegate dai boschi di faggio per adattarsi alle diverse condizioni meteorologiche, così come la variabilità nella risposta alla siccità tra le diverse popolazioni analizzate». Uno degli esiti più significativi riguarda l’identificazione di foreste che in apparenza risultano essere in buono stato di salute, ma nelle quali i ricercatori hanno rilevato segnali precoci di stress a seguito di eventi climatici estremi, come la siccità del 2003.

L’effetto più drastico è stato rilevato in Trentino Alto Adige, dove si è osservata anche una maggiore riduzione della crescita degli alberi rispetto ad altri siti più a sud come il Lazio, la Campania e l’area del Matese. «Nelle regioni meridionali prese in esame non abbiamo osservato una drastica riduzione nella crescita delle piante, come invece abbiamo rilevato in quelle settentrionali - aggiunge Daniela Dalmonech (Cnr-Isafom) -. Non solo: sempre al Sud è stato evidenziato un aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua, suggerendo una migliore risposta di adattamento».

«In un mondo in rapida trasformazione climatica, comprendere i meccanismi di resilienza dei boschi di faggio è un primo step per sviluppare strategie efficaci, ad ampio raggio, di conservazione degli ecosistemi forestali - conclude Alessio Collalti, responsabile del Laboratorio di Modellistica Forestale del Cnr-Isafom e autore del lavoro -. Questo vale per il contesto italiano, ma vale anche a livello globale».

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