Il Cesena, l’omaggio di Sassari e la lezione di Mario Manzo

A 10 minuti dalla fine, a Sassari sull’1-1 sono spariti i palloni da bordo campo, l’inchino finale a un Cesena che ne aveva ancora e voleva vincere. Il “Vanni Sanna” ha un pubblico piuttosto carico e se il primo posto fosse stato ancora da assegnare, ieri si sarebbe vista una bella bolgia, invece il Cesena è in B da quasi un mese ed è ora che inizi a spiegare cosa vuole fare da grande. Vincere il campionato il 30 marzo è un bel vantaggio, a patto che venga sfruttato. C’è da parlare di Toscano e del settore giovanile, di figure nuove nello staff dirigenziale fino ai rapporti da coltivare o meno con Campus Cesena Sport, possibilmente senza teatrini fatti di un passo avanti e due indietro, visto che Bruno Piraccini ha fatto una proposta seria (costruire insieme qualcosa per i giovani) che merita come minimo una risposta seria. L’agenda è piuttosto piena e non deve prendere polvere, perché il livello della B si è alzato e pochi campionati come la B puniscono chi sbaglia strategia nel suo cammino.

La B non va mai sottovalutata e ce lo ricorda il cammino per antonomasia del Cesena, datato 18 giugno 2000. Quella domenica, la squadra è in ritiro da tre giorni all’hotel Tosco Romagnolo di Bagno di Romagna dopo la sconfitta (3-1) nell’andata dello spareggio salvezza contro la Pistoiese. Mario Manzo è stato espulso e salterà il ritorno al Manuzzi per squalifica: chiede di andare in ritiro con i compagni e decide che quella partita la giocherà a modo suo, da solo.

«Domenica vado a piedi da Bagno di Romagna a Cesena».

Scarpette, pantaloncini, polo blu con lo stemma del cavalluccio, marsupio alla vita con il telefono e una bottiglietta di plastica da 33 cl da riempire alle fontane. Si incammina alle 7 del mattino: dall’albergo fino alla sua casa a ridosso del centro di Cesena fanno 55 chilometri. Si parte.

Bagno di Romagna, San Piero in Bagno, Sarsina. Mario Manzo procede di buon passo e ripercorre un’avventura iniziata malissimo. Nei primi mesi non ne ha e chiede a Corrado Benedetti di stare in disparte per ritrovare la forma, poi in panchina arriva Alberto Cavasin e quel terzino ingrigito che si faceva superare da un triciclo diventa “Mario Manzo che gioca meglio di Pelè”, ispirando un coro iperbolico della curva mai sentito prima.

Montepetra, Montecastello, Mercato Saraceno. Mentre tra i ciclisti della domenica c’è chi lo riconosce, Mario Manzo cammina e si consuma, si ripete che non può finire così. In quella stagione 1999-2000 con Nicoletti in panchina ha pure segnato la sua prima doppietta in carriera a 32 anni in un Cesena-Monza 3-3. Era il 12 dicembre 1999: stava 1-3, il Cesena era in dieci (espulso Pancu nel primo tempo) e spostò di peso la partita sul 3-3 realizzando due gol. Il bello è che sul 3-3 il Cesena rimane pure in nove (rosso a Baronchelli) ma ancora un po’ e la va a vincere, sorretto da un tifo di suprema ignoranza come solo il Manuzzi sa avere in certe gare. E in sala interviste nemmeno Manzo delude: «Faccio il Fantacalcio di B con gli amici, oggi perdo perché il mio avversario schierava Manzo in difesa».

Bivio Montegelli, Borello, San Carlo. Mario Manzo ripensa all’espulsione dell’andata dello spareggio di Pistoia e al suo sconforto solitario sotto la doccia, dove scoppia a piangere e l’amico Beppe Baronchelli prova a consolarlo. Cammina sull’asfalto bollente della Umbro Casentinese con un vivaio di vesciche che inizia a fiorire nei piedi, ma dal suo punto di vista è sempre meglio che andare allo stadio.

San Vittore, Borgo Paglia, Cesena. Ci ha messo circa 11 ore per arrivare a casa, la partita del Manuzzi è iniziata alle 17 e ascolta la fine per radio. Dopo una ventina di minuti ha fatto gol Davide Cangini, il mediano che ha dovuto rinviare il matrimonio per gli spareggi salvezza e si sposerà il giorno dopo quella partita. Il Cesena vince 1-0 ma non basta e retrocede in C1. Manzo spegne la radio, sul momento pensa pure di ubriacarsi in solitudine, ma almeno quello se lo risparmia, si è già auto-punito abbastanza. Era innamorato di Cesena e aveva una colpa da espiare, buttandosi in una missione solitaria alla Forrest Gump di cui col tempo si è pentito, perché si deve stare in gruppo anche mentre si precipita.

Quel campionato offri il finale peggiore possibile, però Mario Manzo ha lasciato un ricordo che è anche una lezione: lo stadio che geme di dolore contro un giocatore impresentabile a volte risolve una esigenza (la vita fa schifo, almeno mi sfogo con Pancu o Ghezzal), ma lo stadio che elegge a idolo un giocatore che risale la china, quello è il calcio vero. Mario Manzo prima è stato uno sfogatoio, poi ci ha insegnato a diffidare dei giudizi affrettati: su un calciatore, su un collega di lavoro, su noi stessi. Mai sottovalutare il valore della fatica e dell’impegno: anche il peggiore dei terzinacci se riesce a non mollare può trasformarsi in Mario Manzo che gioca meglio di Pelè. E quando il Manuzzi se ne accorge e applaude la risalita, resta uno stadio unico nel suo genere.

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