Il Cesena, Berti e la sensibilità superiore del talento

L’ennesimo gol di Tommaso Berti è l’ultima prova che lo scorso campionato non è passato invano. Un anno fa, la prima regola era non prenderle, ora invece c’è una scuola di pensiero diversa: più ti avvicini alla porta avversaria, più i piedi devono migliorare. La partita che valeva il primo posto della stagione passata fu Cesena-Reggiana 1-2 e Toscano partì alla palla al centro con Bianchi trequartista dietro Stiven e Corazza. Il mediano dietro le punte è una scelta di vita: il centrocampista più avanzato deve essere il primo difensore, una mano di intonaco grigio su un tasso di talento che pure c’era anche l’anno scorso. Quest’anno si era ripartiti con le stesse sfumature di grigio (Bumbu dietro le punte in Olbia-Cesena 2-1) poi è arrivata la migliore idea di Toscano: basta “col primo non prenderle”, passiamo al “primo darle”, affidiamoci al talento e poi ci penserà la difesa.

Affidarsi al talento è il principio alla base del settore giovanile del Cesena, che ha una storia fatta di grandi piedi di ragazzi a volte da maneggiare con cura. Storia del marzo 2000, il Cesena di Nicoletti si sente già salvo in B e aggrega alla prima squadra due centrocampisti della Primavera: Simone Pacini e Ivan Piccoli. Ivan Piccoli da Fano ha un piede sinistro da coppe europee, però è talmente magro che sembra uscito dal fax ed è introverso da fare paura, combatte contro una adolescenza inquieta e lì per lì sta vincendo l’adolescenza. Metterlo alla prova con la prima squadra ha una sua logica, il guaio è che quella squadra gioca con la calcolatrice in mano, fino al disgustoso Cesena-Cosenza 3-3 anticamera della retrocessione. Piccoli in quello spogliatoio sente troppe cose che gli danno fastidio, di mattina esce bastonato dalla scuola, poi al nel pomeriggio esce moralmente schienato dagli allenamenti: al confronto la giornata-tipo di Giacomo Leopardi è un film di Zalone.

Finisce il campionato e il Cesena retrocede dopo lo spareggio con la Pistoiese. All’inizio di luglio gli arriva la lettera di convocazione in prima squadra, Piccoli chiede un appuntamento in sede a Edmeo Lugaresi e lo incontra insieme al segretario Gabriele Valentini e al team manager Piero Gherl.

“Presidente ho bisogno di dirle una cosa”.

“Prima una cosa te la dico io Ivan, noi vogliamo tornare subito in B e crediamo in te, sei forte e in C lo farai vedere a tutti”.

“Presidente...”.

“Abbiamo preso Tazzioli che è un allenatore giovane e bravo, teniamo Taldo, Campolonghi, Cangini e torniamo su”.

“Presidente...”.

“Facciamo una bella squadra e i giovani bravi da noi trovano sempre spazio”.

“Presidente...”.

“Dimmi”.

“Io smetto di giocare”.

Ora. Immaginate per un attimo di essere Edmeo Lugaresi. Siete appena retrocessi allo spareggio e il migliore giocatore della Primavera vi sta dicendo che a 19 anni ha intenzione di smettere. Ecco, è successo tutto quello che pensate.

“Ma sa dìt? Sa sit invurnì? At fasèm neca e cuntràt par tri-quattr’an... dai valà, basta tan dega dal cazèdi. Vat a cà e scor cun e tu ba” (Traduzione per i non romagnoli: “Mi sembra una decisione affrettata e dettata dall’amarezza per l’ultima stagione, stavamo valutando anche un contratto pluriennale, ti consiglio di pensarci bene e parlarne in famiglia”).

“No presidente, ho deciso. Non ne voglio più sapere non gioco più”.

Così, mentre il Cesena di Tazzioli parte male e finirà peggio con Ferrario e De Vecchi, Ivan Piccoli stacca col pallone e passa 6-7 mesi da totale ex atleta, poi si riaccende qualcosa. Senza dire niente ai suoi genitori, un giorno di aprile 2001 mette in moto l’auto e da Fano torna da solo alla sede di Corte Botticelli. Tesissimo, entra tutto sudato, mentalmente pronto a un’altra esplosione.

“Presidente, c’è ancora posto per me?”.

“Hai ancora il precontratto, mica l’abbiamo stracciato. Bentornato”.

Ivan riprende la macchina e torna a Fano, dove l’aspettano babbo Aldo e mamma Rosaria fuori da ogni grazia di Dio.

“Dove diavolo eri?”. “Come sei messo? Eravamo preoccupati!”.

Ivan li fa sfogare per bene, poi si toglie l’orecchino destro e quello sinistro: li appoggia sul tavolo e guarda il padre, allenatore della Delfino Fano.

“Babbo, torno al Cesena, devi rimettermi a posto”.

Corse in collina e pesi tutti i giorni, poi nel luglio 2001 rieccolo al ritiro con la prima squadra di De Vecchi. L’esplosione arriva con Castori, dove è l’ala sinistra di quella poesia di squadra che nel 2006 accarezza il sogno della A. All’inizio di quella stagione, Castori accolse Piccoli e De Feudis al raduno allo stadio, urlando davanti a tutti: “Madonna, che ci fanno qui questi? Mi avevano detto che ci eravamo rinforzati...” condendo tutto con una sghignazzata da fare tremare i vetri del pullman. Ma il gioco migliore del miglior Castori era quello che serviva a un talento che poteva fare una carriera ben più alta, ma ha anche rischiato di non avere nemmeno una carriera. A Ivan Piccoli resta la medaglia di essere sopravvissuto al peggior Cesena della storia, quando a soli 19 anni scoprì il lato feroce del calcio e la sua faccia era quella dell’attore Valerio Mastandrea nel film “Tutti giù per terra”. Qualcuno se lo ricorda? Era un film su un giovane preso in giro dal mondo, nel lavoro, negli affetti, ovunque. E in basso nella locandina, la frase-manifesto della carriera di Piccoli e di tanti ragazzi bravi a giocare a calcio e troppo sensibili per la gente del calcio: “È difficile essere buoni in un mondo dove sono tutti cattivi”.

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