Cesena-Torres, i 10 gol di Shpendi e il record del fan dei Queen

Una partita di ottimo livello è ancora più godibile se non la si vede in una cella frigorifera, con l'orario pomeridiano che ha aumentato la qualità della vita di chi era allo stadio. Si è rivisto ancora una volta l'effetto-Manuzzi per l'avversaria del Cesena: stadio accogliente, record di tifosi in trasferta, motivazioni a mille di una gagliarda Torres. Resta l'impressione che il Cesena sia superiore nella profondità della rosa e Toscano aveva grande fiducia nel gioco dei cambi, così a metà ripresa ha messo dentro Saber, Varone e Corazza. Sono tre giocatori che messi insieme fanno centinaia di presenze in C e tutti a modo loro con il gol in canna, invece niente. In particolare il cambio Kargbo-Corazza è stato un precipizio: Toscano ha sbagliato il cambio, ma glielo ha fatto sbagliare un Corazza entrato in modalità-Tonin. Così Cesena-Torres non fa che ribadire il parto gemellare di una frase già sentita un anno fa: davanti il vero indispensabile si chiama Shpendi.

All'ombra dei 10 gol di Cristian, se si guarda al Cesena nella sua storia recente in C, non si ricorda una squadra così attrezzata in attacco. Se invece si pensa al gol, c’è un nome e cognome che ne vale 83 e il primo posto nella classifica di tutti i tempi. Dario Hubner per il suo percorso rappresenta tutto quello che si può chiedere a un centravanti del Cesena: un calciatore a metà tra un film di Ken Loach e una canzone di Caparezza. Non ha fatto il settore giovanile, a 20 anni faceva il serramentista e montava porte e finestre in alluminio, poi però a 35 anni fu capocannoniere in A con 24 gol a pari merito con David Trezeguet. Solo che Trezeguet giocava nella Juve e Hubner nel Piacenza, dove il numero di palle-gol è inferiore per una legge della genetica.

Hubner arrivò qui nel 1992 e si presentò in conferenza stampa al fianco di un Edmeo Lugaresi che faticò a lungo a digerirne il cognome, fatica condivisa dall’inimitabile accompagnatore Vittorio Casali. Per entrambi pronunciare “Hubner” era un affare tosto e negli anni si esibirono nelle seguenti variazioni sul tema: Unner, Ustner, Udner, Huckner (con h aspirata), passando per un tassistico Uber, fino al culmine di un funereo Urner che rimase la versione più gettonata. Anzi, andò a finire che tutto lo staff lo chiamava proprio Urner per canzonarlo, dal magazziniere Angeli al fisioterapista Andriotto. Restava lo spessore del personaggio, un rockettaro che in quella prima conferenza stampa nella sede di via Montanari esibiva un testa di capelli con riccioli lucenti alla Brian May, il chitarrista dei Queen. Un look mica scelto a caso.

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Nel 1995 Dolcetti e alcuni amici conducevano la trasmissione “Parastinchi Fm” su Radio Studio Delta e ogni giocatore ospite della puntata doveva portare tre canzoni da mandare in onda. Tutti si presentarono con i canonici tre cd o dischi in vinile, mentre Urner portò una borsa solo per i vinili, più uno zaino ricolmo di cd e musicassette. Tutto materiale dei Queen. Quella sera si voleva parlare anche di calcio, ma fu quasi impossibile. perché l’uomo non si fermava più: “Per me i Queen e Freddie Mercury sono qualcosa di molto importante. Non è solo un fatto di musica o di testi, è qualcosa di più, è il messaggio che trasmettono. Tra cd, vinili e cassette, ho tutto di loro. Un concerto? No, quello mi manca, avrei voluto, ma non me lo potevo permettere, però nell’estate 1993 mi sono fatto un regalo: sono andato con mio cognato a Londra alla casa di Freddie a Logan Place. Bellissimo. Posso presentare il primo brano ora?”

Le tre canzoni scelte da Hubner? Bohemian Rapsody, The show must go on e pure Don’t stop me now, una canzone che ha un testo che sembra la radiocronaca di un contropiede del Cesena di Bolchi: “Viaggio alla velocità della luce, voglio renderti un uomo supersonico, non fermatemi ora. Mi sto divertendo così tanto, mi sto dando alla pazza gioia, non fermatemi ora”. Un po' come dire: lancio di Dolcetti, ponte di Scarafoni, corsa di Hubner. Gol.

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