Cesena-Spal e il rigore che voleva battere Ghezzal

In un primo posto lastricato da venti risultati utili di fila, lo 0-0 di Ferrara è il migliore verdetto possibile secondo la filosofia di Carlo Mazzone: “Quando non riesci a vincere, fai di tutto per non perdere”. Il Cesena ha usato tutte le carte del suo ricco mazzo, ha iniziato in attacco con Berti-Shpendi-Corazza e ha finito con Kargbo-Saber-Ogunseye. Per una volta ha dato l’impressione di avere pochi gol nei piedi ma era un’illusione ottica, perché i numeri sono pazzeschi: un +32 di saldo tra 45 gol fatti (migliore attacco) e 13 subiti (migliore difesa), con Pisseri che di questo passo chiuderà il campionato usando gli stessi guanti, visto che per tirargli in porta serve una tripla domanda in bollo. Ferrara ha confermato che l’architrave sfiora la perfezione, mentre se si vogliono curare i dettagli, una riflessione la merita Ogunseye e chiunque entri in campo in siffatto modo. Toscano sta facendo di tutto per farlo sentire coinvolto, ma se la risposta è questa, allora vanno per forza valutate soluzioni alternative.

Il finale di Ogunseye resta un dettaglio, i problemi veri sono stati altri. Ieri sera la visione di Leonardo Colucci ha rivangato i ricordi del vero inizio della fine. L’attuale guida della Spal era il vice di Marco Giampaolo, l’allenatore di un Cesena che voleva volare, ma diede una tale capocciata sul soffitto che non si è ancora del tutto ripreso. In quella estate 2011, la vera provinciale che incantava l’Italia era l’Udinese, magnifica quarta in A. L’Udinese giocava in A dal 1995 ed era esplosa dopo il 15° campionato di fila nella massima serie, mentre Campedelli puntò alla svolta dopo un anno di A e una salvezzona da 43 punti con Ficcadenti.

Marco Giampaolo, quindi: persona pacata, gradevole e ironica, ma a livello di risultati una betoniera di diserbante su erba che infatti diventò sintetico. L’inizio dell’epitaffio in una conferenza stampa dopo Cesena-Cagliari 1-1 e un rigore che voleva battere Ghezzal, invece toccava a Candreva, ma la palla la teneva Ghezzal, però doveva tirare Candreva, eppure la voleva Ghezzal. Un minuto abbondante di cabaret, con Giampaolo a sbracciarsi come un vigile in tangenziale (fuori dall’area tecnica, espulso) e alla fine calciò Candreva. Nei giorni successivi si calcò tutti un po’ la mano su quel teatrino e Giampaolo in conferenza partì da lì.

“Avete fatto gli spiritosi eh?”.

“Mister, si fa anche per alleggerire un po’, però c’è stata un sacco di confusione”.

“Ma no, ma quale confusione”.

“Beh, insomma”.

“Sono situazioni che capitano, ma avete colto l’occasione per buttarci sopra un altro po’ di letame”.

“Ma no mister, non esageri”.

“Sì, sì, è andata così dai, comunque non c’è problema: noi crediamo nelle nostre idee e rilanciamo forte a Parma”.

Quest’ultima frase la disse col palmo della mano destra rivolto in alto, sbattendo le nocche sulla scrivania, come se stesse gettando una carta per un ristriscio e busso a maraffone. Niente da fare: il giorno dopo, Parma-Cesena finì 2-0, un sonnolento Ghezzal in attacco fece ristriscio e russo e Campedelli decise l’esonero di Giampaolo. Era la fine di ottobre 2011 e restava il problemone di un biennale da 450mila euro netti stagione, mica pizza e fichi. Qualche mese dopo, il portavoce di Campedelli annunciò un’intesa di massima per transare, annuncio confermato da Giampaolo al telefono. Non era vero, o come minimo qualcosa andò storto, visto che si andò in vertenza, fino a un lodo da 998mila euro potenzialmente tombale, contenzioso risolto nel 2014 con un punto d’incontro a 200mila euro. E in questo tintinnar di bonifici, Giampaolo a Cesena fu una breve storia triste dove all’inizio si parlava solo di grande calcio e alla fine si parlava solo di soldi. Il tutto mentre oggi l’Udinese gioca il suo 29° campionato di fila in Serie A e ci ricorda che essere umili resta una buona regola per fare le cose in modo serio.

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