Rimini, consegnano vaccini e trovano i dispersi: parte da Rimini la flotta dei super-droni

Rimini

Sono “made in Rimini” i droni di ultima generazione per il trasporto biomedicale. Consegnano vaccini, organi e emoderivati a tempo record. Ma non basta. Localizzano i dispersi, pattugliano i confini tra nazioni dove la tensione è alle stelle e controllano lo stato di salute di viti e olivi. Sono soltanto alcuni degli scopi di utilizzo dei droni. Ne parliamo con il riminese 46enne, Fabio De Matteis che ha fondato DroneBase, azienda leader in Italia dal 2012 nella costruzione di droni e nella formazione di piloti.

De Matteis, quand’è cominciata quest’avventura?

«La mia è la classica storia che inizia nel garage dei genitori quand’ero adolescente. Una passione che si è tradotta nell’azienda fondata per le riprese video del Motor race. Era il 2008, poco prima dell’avvento dei droni, a cui mi sono dedicato dal 2012».

Funzioni dei droni?

«Si parte dalle applicazioni industriali per motivi di sicurezza, che vedono i nostri apparecchi impiegati sui confini tra Polonia e Ucraina da aziende polacche che operano nell’ambito Nato. Altri droni sono in volo sull’Arabia Saudita che effettua campagne di monitoraggio ai confini con la Giordania. Poi c’è la “risposta ai disastri” che include il recupero e la messa in sicurezza di persone disperse o isolate, oltre alla consegna di medicinali anche in zone desertiche. Con droni che volano come un aereo, dotato di motore termico, copriamo aree molto vaste (per un raggio di oltre 150 chilometri quadri in 10 ore di volo). L’alternativa sono gli elicotteri che tuttavia non sono sempre disponibili, costano molto e non sono equipaggiati di sistemi di ricerca adeguati. Al contrario i droni portano connettività e immagini utili sia alla camera di controllo da remoto sia a chi interviene a terra, come i vigili del fuoco durante un incendio. Non manca infine il drone defibrillatore sperimentato in Veneto. E la lista continua».

Prego.

«Dopo l’alluvione che nel maggio 2023 ha colpito la Romagna, i droni sono sempre più richiesti per monitorare e individuare smottamenti o valanghe, in assenza di pilota. Abbiamo installato un box sulla Marmolada che funziona a pannelli solari ed è gestito con 5G o satelliti».

Quante tipologie di droni vantate?

«Cinque: tre sono i classici droni mentre due decollano come un drone ma volano come un aereo. Sono made in Rimini design e architettura elettronica interna, a fronte di 9 dipendenti e varie aziende partner che ci forniscono le parti che poi assembliamo, come ad esempio i sistemi radio».

Ci descrive il suo team?

«Pieno di entusiasmo, romagnolo doc (con un vivaio che va da Rimini a Forlì) e giovane, con età media 25 anni. A fine lavoro tutti fanno notte in ufficio per testare l’ultimo ritrovato. Contiamo su un ponte lanciato con istituti tecnici e università della regione e da buona selezione tratteniamo i più promettenti. Abbiamo una Academy con corsi per conseguire i patentini che sono obbligatori ma anche i corsi specialistici dedicati, tra l’altro, alle forze dell’ordine.

Novità?

«L’ultima frontiera consegna emoderivati o organi da trapiantare, protetti da contenitori isotermici che mantengono il ciclo del freddo. Un sistema che lavora in 5G: l’elicottero militare consegna l’organo al drone che lo porta all’ospedale in un quinto del tempo che servirebbe a un’automobile. Abbiamo provveduto al delivery d’urgenza anche per l’ospedale San Raffaele di Milano e ci apprestiamo a collegare sia Sicilia sia isole Eolie».

Ambiti da potenziare?

«In Italia non è ancora business l’uso del drone in agricoltura, ad esempio per monitorare salute, maturazione e crescita di olivi e viti. Con sensori multispettrali si vede ciò che l’occhio umano non distingue, come l’infestazione di parassiti, e con voli settimanali si scongiurano epidemie che rovinerebbero il raccolto. Si interviene su cento ettari alla volta restituendo il report nell’arco di 40 minuti».

Entriamo nella frontiera dell’intelligenza artificiale che divide gli animi.

«Difficile fermare l’evoluzione se ha lo scopo di abbattere i costi, di togliere lavori rischiosi all’uomo o fornire presenza continua e puntuale. Con tecnologia a batterie, e dunque ecosostenibile, si valuta in tempi minimi una mole enorme di dati arginando situazioni rischiose».

Le regole della robotica di Asimov invitano a evitare danni agli esseri umani. La differenza la fa chi usa un drone, magari in guerra?

«Al 70% collaboriamo non con privati ma con pubbliche amministrazioni e poi studi tecnici e asset come Enel, assicurando conoscenze per volare in sicurezza e con cognizione di causa, fermo restando che anche un’auto, se guidata da chi ha fatto uso di stupefacenti, può diventare un pericolo proprio come un semplice coltello da cucina».

Prossimo obiettivo?

«Sbarcare in Europa dove i droni italiani sono rimasti indietro, causa vincoli burocratici. Siamo in dialogo con grosse aziende emiliano-romagnole, su cui mantengo il riserbo, per vendere quote e acquisire capitali da investire in ricerca e sviluppo».

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