Da Montegrimano seguendo le orme di Garibaldi attraverso San Marino, Casal Borsetti e le Valli di Comacchiofino alle suggestive vallate dell’Appennino meno conosciuto

Itinerari
  • 26 aprile 2024

Montegrimano è alle spalle e davanti a noi ed ecco ergersi la visione delle tre cime di San Marino, baluardi a difesa della libertà e simbolo stesso della Repubblica più antica del mondo. Chissà quali speranze dovette suscitare questa visione agli occhi di Garibaldi che giunse qui alla testa di quel che rimaneva del suo esercito in quella fine estate del 1849. Roma e il sogno della Repubblica Romana era ormai distante anche se, a conti fatti, non era passato neppure un mese da quando il 2 luglio, scontata la sconfitta, con 4mila volontari aveva lasciato la Capitale eterna alla volta dell’ultimo nobile obiettivo che gli rimaneva dopo il ritorno in Italia, salvare la Repubblica di San Marco che ancora resisteva all’Aquila asburgica. La speranza, destinata a venir presto delusa, era quella che al proprio passaggio nella risalita verso nord le popolazioni incontrate si sollevassero per diventare un tutt’uno col suo esercito. Un sogno però ben presto destinato a prosciugarsi proprio come il numero dei volontari che lo avevano condiviso col Generale, tanto che dei 4mila iniziali ne giunsero con lui al confine con San Marino poco più della metà, braccati com’erano da cinque eserciti nemici che ne avevano decimato numero e sogni con ripetuti scontri, l’ultimo dei quali proprio qui nelle vicinanze della stele alta non più di mezzo metro oggi dispersa nella campagna che ricorda come “il 30 luglio 1849 Garibaldi si fermò sul Tassona per dirigersi il giorno dopo a S. Marino dove sciolse la legione”. E’ da lì che iniziò quella fuga, attraverso la Romagna prima, la Toscana poi che prese il nome di “Trafila di Garibaldi”. Di borgo in borgo ne seguiremo il percorso - uno dei dieci itinerari di Romagna Motorcycle, il progetto di Visit Romagna per la promozione del mototurismo in regione (www.visitromagna.it/motorcycle) -, insieme eroico e tragico, in un territorio profondamente mutato da quell’estate del ’49 ma altrettanto suggestivo.

Lasciamo dunque la stele a qualche km da Montegrimano per iniziare un cammino su una strada bianca che, diventata d’asfalto, ci guiderà fino a San Marino. Narrano le cronache del tempo che Garibaldi e i suoi soldati entrarono nella Repubblica attraversando Porta San Francesco che ancor oggi dà accesso al cuore storico di San Marino. Un passaggio di cui resta più di una lapide a ricordo dei momenti più celebri che accompagnarono la permanenza del Generale, prima che il naufragare delle trattative e delle speranze di una resa onorevole con gli austriaci lo convincesse a sciogliere la legione e tentare, con un manipolo dei più fidati, il viaggio verso Venezia. E’ nella notte del 31 luglio che in gran segreto prende avvio la fuga, scendendo in direzione di Verucchio e poi verso il fiume Marecchia che fu guadato all’altezza di Madonna di Saiano. Oggi, dopo aver attraversato Borgo Maggiore ed esser scesi verso Acquaviva, vista l’impossibilità del guado, è naturale optare per il superamento del fiume da Ponte Verucchio per poi, risaliti verso Torriana, ridiscendere verso la vallata dell’Uso e raggiungere, salendo da Masrola, fino a San Giovanni in Galilea, quel borgo antichissimo da cui si domina la valle e l’occhio può spingersi fino al Carpegna. Da San Giovanni in Galilea seguendo le provinciali eccoci raggiungere Sogliano per poi, scendendo verso il corso del Rubicone lungo una serie di tornanti, risalire in direzione di Roncofreddo e proseguire, toccando la chiesa di Musano, fino a Longiano che, tra le mura del suo castello, domina romantica il paesaggio circostante. Di questa fuga rocambolesca lungo il tracciato rimangono molti racconti d’azione e di affetto ma anche tracce come i cippi o le lapidi che ne ricordano il passaggio come a Musano, Gatteo e infine Cesenatico, dove all’alba del 2 agosto, messi in fuga i soldati della sparuta guarnigione, Garibaldi e i suoi si imbarcarono su 13 bragozzi, sequestrati per il bisogno, per tentare via mare di raggiungere Venezia.

Lasciata piazza Garibaldi su cui campeggia, ardito, il monumento dedicato all’eroe, è percorrendo la SS16 che ora via terra è possibile raggiungere l’odierna Porto Garibaldi conosciuta fino al 1919 come Magnavacca. Nelle vicinanze è ancor oggi esistente e sede di un piccolo quanto curato museo, il “Capanno Cavalieri” dove Garibaldi, Anita, e l’aiutante da campo “Leggero” (al secolo Giovanni Battista Culiolo) trovarono rifugio dopo che il brigantino austriaco “Oreste” aveva interrotto all’altezza di Punta di Goro la navigazione dei 13 bragozzi, catturandone otto. Costretti allo spiaggiamento gli equipaggi scampati alla cattura si diedero alla fuga in un territorio allora caratterizzato da paludi e acquitrini, prima che, cioè, le trasformazioni della bonifica dei primi anni del ‘900 lo trasformassero in quello che oggi ci appare. In circostanze fortunate da Comacchio giunsero ben presto gli aiuti e fu proprio il patriota Nino (Gioacchino) Bonnet che, messi al sicuro i fuggiaschi, iniziò a organizzare nel dettaglio la fuga, dando così avvio a quella che passerà alla storia come la “Trafila garibaldina”, ovvero quella rete di aiuti e personaggi eroici che resero possibile, attraverso il passaggio di mano in mano e mille peripezie, lo scampo di Garibaldi dalla asfissiante ricerca degli austriaci. “Con Bonnet a cui confesso di dovere la vita – racconterà lo stesso Garibaldi nelle memorie autobiografiche – comincia la serie dei miei protettori, senza cui non avrei potuto peregrinare per trentasette giorni, dalle foci del Po al golfo di Sterbino, ove m’imbarcai per la Liguria.”

Casa Cavallina, Casa Zanetto, Casone della Lanterna, Casone Paviero, Tabarra Agosta, Chiavica Bedoni, i luoghi toccati nella fuga attraverso le valli e nei canali di Comacchio, fino alle Mandriole, dove nella fattoria Giuccioli, tra gli stenti, Anita si spense nella notte del 4 agosto. Raggiunta Comacchio il nostro viaggio continua nel panorama unico di questi luoghi tra Terra e Acqua, ed è seguendo la strada d’Argine Agosta che, superato il canale a bordo di un traghettino, arriviamo al corso del fiume Reno all’altezza di Sant’Alberto. Poco distante il paesino a cui, nato nel ’39 sulle terre emerse con la bonifica, fu dato il nome di Anita, in ricordo e in onore di questa indomabile eroina risorgimentale. Lungo la provinciale 24 ecco invece il luogo che per almeno un decennio fu la prima tomba di Anita, immersa nel bosco a qualche centinaio di metri dalla fattoria Giuccioli dove i fuggiaschi avevano trovato rifugio. Superata Casal Borsetti la strada prosegue ora sulla provinciale per incontrare, all’altezza del moderno porto industriale di Ravenna, il Capanno del Pontaccio divenuto poi “Capanno Garibaldi”, un altro dei luoghi topici della fuga verso Ravenna prima e Forlì poi. Con un viaggio tribolato e avventuroso giunsero nel capoluogo romagnolo nella notte tra il 14 e il 15 agosto. Fu qui, davanti al cimitero monumentale, che avvenne il passaggio tra i patrioti della parte ravennate che avevano accompagnato il Generale e Leggero nella prima parte della fuga e quelli forlivesi.

Attraversata la città nella notte, ecco Terra del Sole che al tempo segnava il confine tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana. Man mano che si prosegue lungo la SS67 il paesaggio della pianura ora diventa un ricordo e il viaggio inizia a inoltrarsi tra i monti. Li attendeva a Modigliana un prete del tutto speciale, quel Don Giovanni Verità, patriota e carbonaro, che, pratico dei luoghi per la sua passione per la caccia, fece da guida ai fuggitivi fino all’odierno confine con la Toscana. E’ poco dopo Dovadola* che la strada inizia a inerpicarsi verso Modigliana* e il Passo del Monte Trebbio su quella SP21 purtroppo colpita duramente dall’alluvione del maggio 2023 e per questo ancora in fase di sistemazione. E’ qui che dovette avvenire il primo incontro con “don Zvàn”, com’era chiamato dai suoi parrocchiani, per poi, attraverso percorsi secondari tra boschi e campi, giungere a Modigliana nella notte del 21 agosto. Dopo aver seguito l’SP21 lasciamo Modigliana e le sue testimonianze storiche di grande bellezza per seguire, come travestiti da carbonai fecero Garibaldi e Leggero, il corso del torrente Acerreta che, lasciata la città, si spinge nell’intimità dell’Appennino. Siamo nel cuore più selvaggio di questi monti, fuori dalle rotte più battute proprio come quelle che dovette scegliere don Giovanni Verità nella fuga. E’ di valle in valle che ora prosegue il percorso, prima superando Passo Carnevale fino a Palazzuolo sul Senio, poi, superato il Valico del Paretaio, fino a Coniale per proseguire, toccando Sasso di San Zenobi, fino al Passo della Raticosa e a Filigare, dove, maestoso come un tempo, si erge il complesso doganale costruito nel 1818 da Ferdinando III di Toscana a controllo del confine con lo Stato Pontificio. A Filigare Garibaldi, “Leggero” e “don Zvàn” si separeranno e prenderà inizio la parte Toscana e troverà fine quella passata alla storia come la “Trafila romagnola” e con essa anche il nostro viaggio sulle emozioni del mito e della storia.

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