In barba a qualsiasi divieto in vigore nell’intero Paese durante il lockdown, fin dall’aprile di due anni fa hanno costretto cinque ragazze rumene a prostituirsi a Imola, a Medicina, a Budrio, a Cesena nonché sulla riviera romagnola (a Cervia e a Cesenatico in particolare) nel corso delle stagioni estive.
In manette, con l’accusa di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, sono finite cinque persone: un serbo di 43 anni residente a Portomaggiore di Ferrara (A.Z.) i suoi due figli di 27 e di 25 anni residenti a Budrio (F.B ed A.B.), una donna di origine polacca ma cittadina italiana di 27 anni (P.S., residente a Pianoro), e un cesenate di 72 anni: G.M. pensionato residente in una frazione delle prime colline.
L’operazione dei carabinieri della stazione di Medicina e nel Nucleo operativo radiomobile della Compagnia di Imola che ha portato al loro arresto ha preso il via «Da una tentata estorsione da parte del capobanda nei confronti di un cliente che a Medicina avrebbe voluto avere una prestazione in pieno lockdown con una delle quattro ragazze vittime dello sfruttamento – ripercorre il maggiore Oxilia – Ma non essendoci stato il rapporto tra il cliente e la ragazza sfruttata, il capobanda aveva deciso di minacciare il cliente chiedendogli lo stesso i soldi. Questa cosa non è successa perché sono intervenuti i carabinieri di Medicina e da qui è cominciata tutta la nostra indagine. In piena zona rossa. E’ un’indagine che è durata molto, ma che ha portato i suoi frutti».
Sono scattate lunghe e meticolose intercettazioni. Con i luoghi in cui le don ne venivano fatte prostituire che venivano spostate sia in strada che in luoghi protetti dove esercitare. Tra i quali un hotel bed and breakfast a Ponente di Cesenatico.
Il lavoro dei militari dell’Arma ha portato alla luce «Un giro di affari notevole – aggiunge – perché abbiamo stimato che ogni ragazza al mese riuscisse a portare 10.000 euro, quindi possiamo contare che la mole e il volume del guadagno fosse notevole. Guadagno, peraltro, che è stato certificato essere l’unica fonte di reddito per i cinque criminali».
Tra le minacce intercettate dei capofila c’era quella di dover consegnare comunque, ogni giorno, minimo 100 euro “per la protezione” da parte del gruppo.
«Una banda ben organizzata – continua il comandante della Compagnia imolese – Ognuno dei cinque arrestati aveva un compito ben definito. Specifico e ben dettagliato. C’era chi doveva curare il calcolo dei guadagni mensili, c’era chi doveva curare la pubblicazione in internet delle fotografie, generalmente false, delle ragazze per adescare in qualche modo la clientela, e c’era chi doveva collocarle su strada o curarsi di collocarle in albergo sulla riviera romagnola durante il periodo estivo».
Il cesemnate G.M., per le accuse, non era nuovo ad arrotondare la pensione con questo tipo di attività. Di certo nel 2017 era stato arrestato con accuse simili a quelle odierne, dai carabinieri di Cervia – Milano Marittima. Nel momento in cui sono iniziate le nuove investigazioni aveva ancora sul capo (e gli è stata contestata anche questa violazione) il divieto di ingresso nel comune di Cervia.
Il suo lavoro per gli investigatori consisteva nell’agevolare eventuali bisogni delle prostitute. Sotto forma di spesa di alimenti piuttosto che di saponi e shampoo con cui detergersi tra un cliente e l’altro. Per le accuse riceveva anche 20 euro nel pugno direttamente dalle ragazze anche quando le accompagnava o le tornava a prendere da un luogo di lavoro. Ora è ai domiciliari in attesa di comparire davanti al giudice.