Rimini. Leucemia: la seconda battaglia di Elia per la vita

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«Bisogna sempre e comunque trovare un lato positivo nelle cose brutte che succedono. Non chiudersi in se stessi. Accettare l’aiuto da parte di chi lo offre. E non buttarsi giù». E’ il messaggio che Danila, madre di Elia, un ragazzo di 15 anni di Rimini affetto da leucemia, si sente di lanciare in occasione della Giornata mondiale contro il cancro infantile di oggi.

Danila ed Elia un aiuto lo hanno trovato nel personale sanitario e nell’Arop-Associazione riminese oncoematologia pediatrica e altre malattie croniche dell’infanzia: «Tanto di cappello ai dottori, agli infermieri e all’associazione. Sono sempre tutti molto disponibili».


Recessione e ricaduta

La leucemia irrompe nella vita di Elia «a 4 anni – racconta Danila –. Aveva la febbre altissima, aveva dolori alle ossa, non era in grado di camminare e non riusciva a parlare. Siamo andati al Pronto soccorso. Immediatamente ci hanno detto che era l’influenza che era in giro. Poi, però, il giorno successivo Elia è stato ricoverato e ha fatto tutti gli esami. Prima pensavano che fosse artrite reumatoide, poi ci hanno detto che era leucemia».

La chemioterapia porta alla recessione della malattia. E nessuno ripensa più a quel periodo fino al 2021, quando «c’è stata una ricaduta, dopo dieci anni – aggiunge –. Non ce l’aspettavamo assolutamente. Non ci pensavamo proprio più, perché Elia stava bene e non presentava alcun sintomo. Si è ripresentata in un testicolo, che gli hanno dovuto asportare. E da quel momento abbiamo ricominciato il percorso. Rivivere un’esperienza di quel genere non è stato per niente piacevole. Un colpo grosso, decisamente difficile da accettare, sia per Elia che per me».


Tante difficoltà

Anche perché «quando Elia era piccolo era più “semplice” – continua –. Sempre pesante, ma da bambino ha reagito in maniera differente. Adesso la malattia genera più problemi, sia dal punto di vista fisico che che mentale». In più, «Elia è un ragazzo molto chiuso, non parla tanto, si tiene le cose per sé – spiega –. Quando, magari, sono gli altri che lo stimolano a fare qualche cosa, allora si lascia coinvolgere. Altrimenti sta molto per i fatti suoi, probabilmente perché non ha neanche molta voglia di trovarsi tante persone attorno che gli chiedono delle cose. Sta vivendo la malattia in un momento in cui avrebbe preferito uscire di case e fare altre cose, e invece si ritrova un po’ costretto».

Aspetto non meno significativo, «affrontare questa situazione da sola è ancora più difficile – osserva –. I miei genitori ci sono sempre vicini, e anche il padre di Elia è sempre presente e ci aiuta sempre, però in casa sono da sola ad affrontare tutto, sia le terapie che danno fastidio ad Elia sia a livello emotivo. Dovrei sostenere Elia, ma faccio fatica già a sostenermi io. Non è sempre facile. Le giornate non sono sempre una passeggiata».

L’Arop-Associazione riminese oncoematologia pediatrica e altre malattie croniche dell’infanzia festeggia diciannove anni di attività a fianco delle famiglie con bambini o ragazzi affetti da malattie oncoematologiche.

Fra il recente passato e oggi, sono una decina le famiglie che i genitori e i volontari dell’Arop accompagnano in questo percorso, sia all’interno del reparto oncoematologico pediatrico dell’ospedale Infermi di Rimini, per i bambini e i ragazzi in regime di ricovero, sia al di fuori della struttura ospedaliera, durante i periodi di terapia di mantenimento e i controlli di routine.

«Una malattia oncoematologica è una malattia che coinvolge inevitabilmente anche la famiglia – osserva Roberto Romagnoli, presidente dell’associazione –. Non c’è più solamente il bambino o il ragazzo malato, ma c’è il nucleo familiare che viene coinvolto in mille modi differenti e deve seguire il percorso a fianco del bambino o del ragazzo».

E «da genitori quali siamo, perché siamo passati attraverso quello stesso percorso, ci siamo posti a fianco delle famiglie – aggiunge –, cercando di essere loro di aiuto, sia all’interno del reparto che fuori dall’ospedale, nell’affrontare questo percorso, decisamente molto difficile e molto pesante. Nel senso che la vita delle persone cambia in maniera radicale, e le famiglie si vedono spesso costrette anche a lasciare il proprio lavoro a cambiare completamente il loro stile di vita».

Insomma, «Arop si è posta proprio come compagna di viaggio – continua –, cercando di dare alla malattia una chiave di lettura che non è solamente quella della sofferenza e del dolore, ma è anche quella della positività, dell’affrontare questa sfida in maniera propositiva, cercando giorno dopo giorno di combattere questa battaglia assieme alle altre persone».

Oltre all’accompagnamento, l’obiettivo dell’Arop è quello di offrire ai bambini/ragazzi e alle loro famiglie il migliore percorso medico e psicologico possibile, una prospettiva di vita serena, il completo reinserimento nel percorso sociale, nonché una speranza concreta di diventare adulti sani.

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