Oltre 300 lasciano il lavoro per seguire la famiglia. Conciliare occupazione e figli resta un sudoku di difficile soluzione. Un fronte rovente che lascia scottate soprattutto le donne. È quanto emerge dai dati che saranno contenuti nella relazione annuale dell’attività svolta dall’Ufficio della Consigliera di parità della Provincia, Adriana Ventura.
Ventura, quanti casi ha trattato il suo ufficio?
«I casi presi in carico sono 32 di cui 10 riguardano altrettante madri sotto i 50 anni, in affanno per gli equilibrismi tra casa e lavoro. Passando sotto la lente le dimissioni, convalidate dall’Ispettorato del lavoro, si sono dimesse a fine maternità, o comunque nel periodo che prevede il divieto di licenziamento, 344 persone, di cui 241 mamme e 103 papà. Un addio che, in 323 situazioni, è frutto di dimissioni volontarie, in 16 dipende da giusta causa e in 5 deriva da una risoluzione consensuale. Ben 225 infine i genitori che si sono dimessi schiacciati dagli impegni quotidiani».

Cosa impedisce una soluzione?
«In generale manca una rete di supporto familiare che tuteli le lavoratrici ma soprattutto una mentalità aperta. Risulta sempre più difficile ricevere sostegno da parte delle aziende per soluzioni compatibili e conciliative. Sintetizzando nasciamo con la bambola in mano ma poi ci licenziano con un figlio fra le braccia. Troppe donne sono costrette a sacrificare la carriera, perché hanno lavori meno remunerativi dei mariti o con orari difficili da gestire. In prevalenza lavorano nel commercio o nei servizi alla persona. E oltre al danno arriva la beffa».
Perché?
«I disagi mal si conciliano con il decreto legislativo 105 del 2022 che punta a promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il peggio è che viviamo un momento storico, senza precedenti, con bollette alle stelle e inflazione galoppante».
Quali storie l’hanno colpita?
«Quella di una mamma single, oltretutto unico genitore affidatario di un minorenne. Abbiamo raggiunto un accordo con l’azienda che le ha assegnato l’agognato part-time nella sede più vicina a casa. Un altro lieto fine? Un’azienda pubblica è andata incontro a una dipendente che abitando lontana bruciava nel tragitto lavoro-casa le due ore di riposo giornaliero a cui si ha diritto fino al compimento del 1° anno del figlio. È bastato attivare una buona prassi consentendole di lavorare nel comune di residenza».
Quando sorgono i problemi?
«Spesso già all’annuncio della gravidanza, intesa come un evento negativo nonostante il calo demografico che affligge il Paese. Molte aziende mantengono il più a lungo possibile la sostituta, invitando la neo-mamma a restare a casa per scongiurare le assenze per malattia del piccolo. Eppure la maternità costituisce solo un momento della vita delle donne».
Il futuro sarà più roseo?
«Peggiorerà il divario di salario tra le professioni e l’avvenire, che è fatto di informatica, taglierà fuori le ragazze troppo spesso indirizzate verso materie umanistiche dai soliti stereotipi».