Una grossa frenata dei depositi di famiglie e attività, un cambio di rotta in negativo in fatto di prestiti: il combinato disposto caro bollette-inflazione-effetti della guerra in Ucraina sta mettendo sempre più in crisi l’economia domestica e imprenditoriale. E’ quanto emerge da uno studio realizzato dalla Fabi, Federazione autonoma bancari italiani, sugli ultimi dati resi noti dalla Banca d’Italia per il biennio 2021-2022, analisi ampliata dal sindacato più rappresentativo dei bancari a livello nazionale che attualizza e fotografa la situazione della regione Emilia-Romagna, con un focus particolare sulla provincia di Rimini.
E’ il segretario nazionale nonché segretario coordinatore della Fabi di Rimini Mattia Pari a illustrarlo, annunciando anche una serie di azioni in cantiere e di prossima attuazione.
Pari, l’Emilia-Romagna si è da sempre contraddistinta per una spiccata produzione di reddito e concentrazione di ricchezza. E’ ancora così?
«A livello assoluto sì e ne rappresenta un esempio di spicco proprio il nostro territorio: Rimini ha fatto infatti rilevare nel 2022 un incremento del 4% della ricchezza prodotta rispetto al 3,9% regionale. Tuttavia, l’analisi dei dati regionali e provinciali degli ultimi mesi confermano una battuta di arresto per famiglie e imprese, i cui depositi e prestiti subiscono un’inversione di tendenza destinata, se perdurante, a erodere in maniera importante la ricchezza locale».

Scendiamo nel merito, partendo dai depositi bancari
«Gli ultimi dati in materia in Emilia-Romagna registrano un’inversione di tendenza: nel 2022 ammontano infatti a 165,8 miliardi di euro rispetto ai 167,3 miliardi del dicembre 2021. Un calo di quasi un miliardo e mezzo, l’1% del totale. E a gennaio 2023 si conferma il trend di decrescita, con un ulteriore e importante decremento complessivo di oltre 7,5 miliardi che portando i depositi a quota 159,7 miliardi di euro».

Un trend che colpisce anche la provincia di Rimini?
«Sì, in maniera ancor più marcata. Nel Riminese la flessione negativa e superiore alla media dell’Emilia-Romagna e a gennaio 2023 si attesta al -4,1% contro il -3,7% regionale. Se nel 2021, il monte depositi complessivo di famiglie e imprese aveva registrato una crescita che sfiorava l’8%, toccando la cifra dei quasi 12 miliardi di euro, a inizio 2023 si è avuto un calo del 4%, con un decremento di quasi 600 milioni di euro. E i primi segnali dell’anno in corso confermano che inflazione e caro vita continuano a rimanere una minaccia per i patrimoni di famiglie e imprese che si traduce nell’erosione inesorabile di risparmi e redditi finanziari».
Anche i prestiti fanno registrare il medesimo andamento?
«Il nostro studio rileva che a dicembre 2022 l’ammontare complessivo in Emilia-Romagna l’ammontare complessivo era di 140,9 miliardi di euro contro i 136,2 miliardi de dicembre 2021. In aumento quindi del 3,4%. Ma anche in tale ambito, il dato di gennaio 2023 mostra un cambio di marcia. La risalita dei tassi d’interesse sui finanziamenti bancari comincia a ridurre la possibilità di indebitamento della clientela, costretta a subire gli effetti di un rincaro dei costi di accesso ai finanziamenti. Ponendo l’attenzione alla città di Rimini i prestiti complessivi aumentano meno della media regionale, attestandosi a 8,72 miliardi di euro a dicembre 2022, in aumento sì rispetto agli 8,69 miliardi di euro a dicembre 2021 ma con un incremento dello 0,4%, rispetto al detto 3,4% regionale. Il dato che si rileva a gennaio 2023 si mantiene invece pressoché costante rispetto a dicembre 2022, anche se in lieve diminuzione».

Quali sono le cause e le possibili conseguenze?
«La tendenza alla crescita dei prezzi innescata dalla guerra e quella dei tassi di interesse voluta fortemente dalla Bce, hanno assunto da mesi un carattere quasi strutturale e le previsioni per il futuro più prossimo continuano a non essere rosee. Il fenomeno a cui si assiste è che l’inflazione continua a essere la causa principale di perdita del potere di acquisto di famiglie e lavoratori e ad esasperare le diseguaglianze e i livelli di povertà già esistenti (sono poco più di 10 milioni le persone a rischio povertà) e allo stesso tempo, i più recenti livelli dei tassi di interesse che hanno già superato la soglia del 4% sono un salasso per tutti coloro che chiedono prestiti e una stangata per chi si è già indebitato. Parliamo, di circa 6,8 milioni di famiglie con prestiti».
Come viene vissuta questa situazione nel vostro settore?
«Le banche sono aziende private e come tali hanno interesse a portare dei risultati ai propri azionisti, ma hanno anche un ruolo sociale e quindi da una parte dovrebbero andare incontro il più possibile alle esigenze delle persone in difficoltà e dall’altra pure remunerare adeguatamente i depositi a favore della clientela. Quando questo non avviene, le persone vanno in banca e si lamentano con il direttore ma anche con il personale presente nelle filiali che però non hanno nessuna responsabilità su certe scelte. Le decisioni sono dei vertici degli istituti di credito, c’è una grande differenza tra bancario e banchiere e anche la politica nazionale dovrebbe interessarsi a temi di questa importanza. La combinazione tra l’erosione degli stipendi e delle pensioni e gli effetti del maggior costo del denaro richiedono interventi a tutela delle famiglie ma anche dei lavoratori, in attesa di decisioni di politica monetaria e fiscali che possano dare un respiro a chi è più colpito dall’aumento generalizzato dei prezzi».
State valutando possibili azioni?
«In tutti i settori, i rinnovi contrattuali devono rappresentare il punto di partenza per una richiesta salariale che possa garantire il recupero del potere di acquisto delle retribuzioni di ciascuna categoria e dare una risposta concreta alle lavoratrici e ai lavoratori e alle loro famiglie. Così come sarà fondamentale una rivalutazione adeguata anche delle pensioni, anche perché pensionati purtroppo sono sempre più spesso dei veri e propri ammortizzatori sociali per le loro famiglie. A breve nel settore del credito cominceremo, insieme alle altre Organizzazioni sindacali, le assemblee con le lavoratrici e i lavoratori per presentare la piattaforma rivendicativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale. Oltre alle legittime richieste economiche, avanzeremo anche delle proposte che interessano la clientela, a cominciare dal fatto che vogliamo una banca senza pressioni commerciali. Un tema, questo, che rappresenta una piaga per i bancari, ma anche per l’intera collettività».