Che fine hanno fatto le quote dei biglietti d’ingresso al mausoleo di Teodorico, al Museo Nazionale e alla basilica di Sant’Apollinare in Classe, con le royalties dei bookshop e i canoni che sarebbero dovuti finire nelle casse dello Stato? Del processo per la gestione del servizio, affidato a Novamusa srl tra il 2011 e il 2017 non resta che questa domanda. Per l’accusa mancano all’appello quasi 675mila euro dovuti in quegli anni, ma per il tribunale di Ravenna non è stato commesso alcun reato. Così ha deciso il collegio penale presieduto dal giudice Cecilia Calandra (a latere Federica Lipovscek e Cristiano Coiro) che ha assolto Gaetano Mercadante, manager 61enne residente a Bracciano (Roma), un tempo amministratore dell’azienda fallita nel gennaio 2018, e i due successivi amministratori a lui subentrati dopo il suo arresto. Scagionati “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di peculato, per la quale il sostituto procuratore Angela Scorza aveva chiesto la condanna, rispettivamente a 6 anni per il “dominus” e a 4 anni per i coimputati, il 55enne di Castelnuovo di Porto Tommaso Morciano e il 74enne Elia Fiorillo, residente a Castellamare di Stabia.
Conti rimasti in sospeso
A dare il via all’intera inchiesta, nel maggio 2017, era stato un esposto del direttore del Polo Museale dell’Emilia Romagna, Mario Scalini, subentrato al passaggio di testimone ceduto dalla Soprintendenza ravennate. Aveva fiutato presunte irregolarità nei servizi attivati fin dal 21 ottobre del 2011, quando cioè la direzione regionale dei Beni Culturali aveva affidato per sei anni a Novamusa la concessione per la gestione delle biglietterie e dei bookshop dei due monumenti Unesco e del museo di via Mura di San Vitale (poi passate sotto RavennAntica). Come ricostruito dal pm nel corso della requisitoria, il contratto parlava chiaro: la società avrebbe dovuto corrispondere un canone annuo fisso di 36.100 euro, il 73,10% degli introiti del servizio ticket e royalties dell’8,20% sul fatturato dei servizi aggiuntivi, tra i quali prenotazioni, prevendite, noleggio audioguide, assistenza didattica, prodotti editoriali ed e-commerce. All’amministrazione pubblica sarebbe spettato invece il compito di un puntuale controllo.
Parte di quegli incassi, tuttavia, si è persa nel tempo. Così almeno hanno ricostruito le Fiamme gialle, accertando presso la Soprintendenza dell’Ispettorato Generale di Finanza che Novamusa non aveva versato quanto dovuto dal novembre 2013 all’aprile del 2015. Andando a fondo sui conti della società era poi emerso che non solo non erano stati versati circa 81mila euro di canoni concessori (su 180.500 dovuti), ma anche che 462.385 euro (su un totale di 3 milioni transitati nei conti correnti) erano stati trattenuti, secondo l’accusa, indebitamente. Parte degli incassi in contanti tra biglietti e bookshop, non sarebbe nemmeno stata versata in banca, creando nel triennio 2015-2017 un ammanco di circa 111mila euro su un totale di 3,3 milioni di introiti. Cifre ricostruite anche raffrontando i dati relativi alle quietanze dei versamenti a favore dell’erario con i cosiddetti “modelli 12” che i dipendenti compilavano e inviavano mensilmente alla Soprintendenza di Ravenna.
Il ruolo di Mercadante
Nessun dubbio, per la Procura, su chi dovesse rispondere di quegli ammanchi. «Il ruolo diretto di Mercadante è evidente», ha incalzato il pm indicandolo come «amministratore totale» anche dopo le sue dimissioni, datate dicembre 2012, per vicende legali parallele. Il manager al quale aveva lasciato il timone sarebbe rimasto in carica appena 5 giorni, per poi passare la palla a Fiorillo («amministratore fantasma» per 3 mesi) e infine a Morciano, insediatosi per un anno e mezzo. Stralciata da questo processo la posizione di una quarta imputata, per la quale il tribunale si pronuncerà separatamente. Eppure, secondo quanto contestato, Mercadante avrebbe mantenuto il pieno controllo degli affari.
L’assoluzione a Civitavecchia
Un «sillogismo sbagliato», hanno replicato i legali del 61enne (gli avvocati Francesco Sacco e Gian Paolo Colosimo) quello che vede il manager romano come amministratore unico. Così come «non c’è prova che fosse amministratore di fatto». Sulla qualificazione giuridica del reato, il peculato, ha invece indugiato il difensori di Morciano, Massimiliano Iovino, non solo sostenendo che «se mai ci sono stati omessi pagamenti, si riferiscono a un periodo successivo» a quello in cui il 55enne era amministratore. Ma soprattutto, ha ribadito, «quei soldi non sono denaro pubblico».
Entra qui in gioco la sentenza del tribunale di Civitavecchia, dove Mercadante è stato assolto su un caso analogo a quello bizantino, valutando il mancato versamento delle quote di biglietti e royalties come una vertenza di natura civilistica legata a un possibile inadempimento contrattuale tra Novamusa e Pubblica amministrazione, e non peculato, perseguito invece penalmente. Per capire se si tratta dello stesso ragionamento fatto dal collegio ravennate si dovranno leggere le motivazioni della sentenza, attese fra 90 giorni. Nel frattempo, la domanda resta senza risposta: che fine hanno fatto i soldi degli ingressi ai monumenti della città?