Il pane di 2mila anni fa trovato a Forlì era integro perché raffermo

Forlì

FORLI'. I suoi segreti sono così profondi che non sono stati sufficienti approfonditi esami svolti dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Parma e lo screening paleoradiologico effettuato all’ospedale “Morgagni-Pierantoni” di Forlì, per svelarli tutti.

I primi esiti
Niente paura, però, perché molte verità sono già emerse, poi arriveranno altre analisi da parte dei laboratori del Dna antico dell’Ateneo di Bologna e allora si scoprirà davvero tutto ciò che cela nel suo impasto la pagnotta ritrovata in eccezionale stato di conservazione dopo 2mila anni di sepoltura nella necropoli romana rinvenuta in piazzale della Vittoria nel 2017 durante i lavori di Hera per la rete del teleriscaldamento. Ancora non è possibile identificarne il cereale, ma la rosa pare ristretta a miglio o sorgo. Meno probabilmente, orzo.

Le domande
Il quesito scientificamente ha un valore. Delle 23 tombe rinvenute (21 delle quali per incenerazione) piene di manufatti, balsamari e omaggi al defunto, la numero 18 era la più ricca di reperti tra i quali una pagnotta clamorosamente integra se si pensa che risale alla seconda metà del I secolo dopo Cristo. Com’è stato possibile? Quali erano i suoi ingredienti? Come fu preparata? Ausl Cultura, Università e Soprintendenza archeologica regionale hanno allora avviato studi condotti dalla studiosa Romina Pirraglia e dall’antropologo fisico e paleopatologo, Mirko Traversari, intervenuti ieri pomeriggio all’incontro pubblico ospitato al Campus. Ebbene la pagnotta, di grammatura non fine e a basso contenuto proteico, si è conservata «per retrogradazione dell’amido cotto». In parole povere, è diventata rafferma. Come quelle dimenticate nella dispensa di casa, solo che «non ci sono state le condizioni di umidità e soprattutto di temperatura, affinché tornasse morbida». Però era un pane impastato, lievitato e cotto come se dovesse essere mangiato e questo è emerso nella Tac cui è stato sottoposto. Si è scoperto anche che contiene polveri di argilla e silicati «probabilmente inclusi volutamente nell’impasto come usava per il Panis Picenus da intingere in salse». Ora non resta che scoprire il cereale e la composizione del lievito, poi si punta a ricostruirla in 3D e a stilarne la ricetta. Quella del Pane romano di Forlì.

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