Presunti abusi su un bimbo di sei anni. Due maestre finiscono a processo

Rimini

RIMINI. La premessa, doverosa. La maestra e l’insegnante di sostegno per cui la procura della Repubblica ha chiesto la citazione diretta a giudizio non hanno più nulla a che fare, da tempo, con il prestigioso istituto della provincia dove si sarebbero verificati gli abusi denunciati dalla stessa presunta vittima, un alunno di sei anni. I due episodi di maltrattamenti che sarebbero stati inferti al piccino che all’epoca frequentava la prima elementare risalgono esattamente a ottobre 2012 e gennaio 2013.

Le accuse

Abuso dei mezzi di correzione. Questo il capo d’imputazione da cui il prossimo 7 dicembre, davanti al tribunale, dovranno difendersi una maestra di 45 anni e la collega di 41. La prima, è difesa dall’avvocato Francesco Vasini, la seconda dal collegio composto dall’avvocato Alessandro Petrillo e dall’avvocata Monica Rossi. A chiedere il processo senza passare dall’udienza preliminare, dando così una importante accelerazione all’iter giudiziario, è stato il sostituto procuratore Marino Cerioni.

La storia

Come detto sono due gli episodi contestati, che la mamma del ragazzino, affetto da una forma di ipercinetismo per cui in classe doveva essere affiancato da un insegnante di sostegno, ha denunciato.

Il primo si sarebbe consumato durante la lezione dell’8 ottobre del 2012. Arrivato a casa accompagnato dalla nonna, alla domanda della madre su come si era fatto dei graffi che sanguinavano sul volto, aveva risposto: «È stata la maestra, non voleva che andassi in bagno». Diametralmente opposta la ricostruzione della maestra 45enne che nell’interrogatorio davanti al Pm ha parlato di una mattinata “normale” trascorsa con quel ragazzino graffiatosi da solo poco prima della campanella. Un bambino che avrebbe avuto difficoltà a relazionarsi con i compagni di classe tanto che in diverse riunioni molti genitori avevano minacciato di ritirare i propri figli dalla classe se non si fossero presi provvedimenti.

Sporta la denuncia, la mamma aveva riportato il figlio in classe dove, stando al suo secondo esposto, mentre si trovata in una specie di palestrina l’11 gennaio del 2013, l’insegnante di sostegno lo avrebbe «afferrato per i polsi facendolo cadere a terra e lo sculacciava causandogli lesioni personali consistite in “trauma cranico” lieve (un bernoccolo sulla testa)» giudicato guaribile in 10 giorni. Accuse respinte con forza dall’insegnante: «Se l’ho afferrato è solo per non farsi male, in quella palestra ci andavamo quando era in piena crisi per farlo rilassare». Come la collega è stata sottoposta a procedimento disciplinare aperto sulla base degli atti della procura, chiuso per entrambe con l’archiviazione. Del loro specchiato comportamento hanno parlato nei rispettivo verbali la dirigente scolastica dell’epoca, i colleghi e alcuni genitori, che avevano visto tornare a casa i propri figli segnati dagli sfoghi incontrollabili dovuti alla condizione della presunta vittima.

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