Fallito il colosso asiatico Obike, ma in Romagna le bici resteranno

Rimini

RAVENNA. Era stato lanciato come colosso del bike sharing, per rivoluzionare l’offerta di servizio sull’onda delle tecnologie digitali, fatte di smartphone, app e geolocalizzazione. Invece “oBike”, la multinazionale asiatica con base a Singapore, è stata dichiarata fallita. La notizia gira già da un po’ e, complice forse il fuso orario, sta facendo sentire ora i suoi effetti in Europa, dove le partnership sono diffuse a macchia di leopardo in diversi Stati. A Ravenna e a Cervia, dove il servizio è stato inaugurato il 23 e il 26 marzo, le biciclette continuano a girare. Stessa cosa a Rimini, dove è stata recentemente lanciata la partnership con il “Meeting Rimini 2018”. Il motivo: il brand è lo stesso, ma cambia la società deputata alla gestione. E lungo Stivale la Srl oBike Italia – concessionaria delle biciclette e, pare, proprietaria della tecnologia digitale per il funzionamento del servizio – gode di ottima salute. Non si può dire lo stesso in Germania, dove il tracollo della società di Singapore ha bloccato 10mila biciclette appena sbarcate ad Amburgo per mesi, prima di una maxi svendita che ha sparpagliato tra privati e altre società le biciclette mai usate.

Il futuro a Ravenna

«Quella italiana è una società autonoma, che può continuare il suo percorso indipendentemente dalla casa madre», conferma l’assessore al Turismo e alla Smart city, Giacomo Costantini, anticipando collaborazioni future per incentivare il turismo in città anche grazie alla rete di biciclette sparse in tutta la Penisola. E gli fa eco anche Mauro Conficoni, presidente della cooperativa cervese Eta Beta, assicurando la continuità del servizio delle 400 bici sparse per Ravenna e delle circa 2mila distribuite lungo tutti i comuni della Riviera fino a Cattolica. Rimane pur sempre – controllando le policy del sito ufficiale – il riferimento all’ormai defunta società madre, la Obike Asia Pte. Ltd & OPG Asia Pte.

Le incognite riguardano però il futuro. In particolare chi si occuperà della sostituzione dei velocipedi per tenere testa alla concorrenza, considerato che venivano prodotti e forniti direttamente dalla società di Singapore.

Il fallimento

Stando a quanto si apprende dai media internazionali, a decretare il tracollo del colosso asiatico sono state le tasse e le restrizioni imposte dalle autorità di Singapore per ridimensionare il sovraffollamento di biciclette per le strade, tale da creare seri problemi di gestione. L’aumento dei costi ha portato così la multinazionale ad abbandonare il ramo, dichiarando fallimento anche in molti Paesi in cui il marchio era stato esportato.

Nulla a che vedere con i disagi lamentati lungo la Riviera nei primi mesi dal lancio del servizio. Nel caso nostrano il sovraffollamento con c’entra; a mettere i bastoni tra le ruote alle biciclette “a flusso libero” è stata la stupidità di certi utenti, attratti più dalla possibilità di danneggiare e fotografare le bici pubbliche abbandonate, che da un virtuoso spirito di condivisione.

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