Grani antichi, agricoltori giovani e "rinati" mugnai

Faenza

Grani antichi, giovani agricoltori. Il binomio si è consolidato nell’ultimo decennio in Romagna. Le scelte di giovani che hanno deciso di tornare alla terra spesso si è sposata con la ricerca di varietà dimenticate o semplicemente accantonate (antichi sono i grani di origine nazionale autoctona, che abbiano un nome locale, inseriti almeno da 50 anni in un territorio e coltivati con continuità almeno per qualche decennio), e ha saputo rigenerare piccole economie e relazioni sopite, quando non addirittura estinte, riportando in vita anche l’attività di mulini “spenti” da tempo.

È successo sulle colline di Modigliana, dove un gruppo di agricoltori a furia di seminare grani antichi, a fine 2018 ne ha ricavato uno nuovo e lo ha registrato, si chiama “Antico Gentil Tramazzo”. «Abbiamo cominciato seminando Gentil Rosso una decina di anni fa, perché questo grano, che i miei nonni seminavano ormai solo per le galline perché rendeva poco, in montagna è sempre cresciuto», spiega Mauro Biondi dell’azienda agricola Verde Arcobaleno di Modigliana che con cinque colleghi della stessa vallata, fino a Tredozio, ha dato vita al consorzio Hesiodos. Insieme coltivano 20 ettari a grano tenero che poi macinano a pietra nel piccolo mulino di Ilario Conficconi, a Dovadola. «Ci siamo dati una chance, l’agricoltura in montagna non è semplice – dice Biondi –. Adesso oltre a vendere la nostra farina direttamente, la forniamo a una serie di agriturismi della zona».

Stesso mugnaio, e stessa passione per Lucia Ziniti dell’azienda San Biagio Vecchio sui colli faentini. Lei e il marito producono soprattutto vino, ma nel 2012 fu proprio Lucia a decidere di diversificare le colture dedicando una parte dei poderi all’ombra della Torre di Oriolo al grano. «Allora panificavo in casa con la pasta madre – sorride Lucia che nel frattempo è lei ad essere diventata mamma, e la panificazione l’ha dovuta mettere in disparte per ragioni di tempo –. Volevo vedere come sarebbe stato produrre il nostro grano e la nostra farina per fare il pane. Prima parlammo con don Antonio, il parroco, e con Nino Tini (agricoltore e poeta scomparso di recente, ndr) e tutti e due, che erano cresciuti qui, ci raccontavano di quando da bambini correvano scomparendo tra le spighe altissime. Quel grano così alto era il Gentil Rosso. Abbiamo seminato proprio quello e il primo raccolto lo abbiamo mietuto nel 2013». Tempo un altro anno e la “faccenda” dei grani antichi è letteralmente esplosa. «La prima produzione ci era praticamente sparita in campionature, la davamo ai colleghi, ai forni, nessuno sapeva lavorare quelle farine, al massimo usavano kamut o Senatore Cappelli. Intanto noi avevamo già moltiplicato il nostro seme, avevamo conosciuto la rete toscana dei “Semi rurali” che mette in contatto agricoltori, mugnai, agronomi, e studiosi di genetica, che ci hanno permesso di imparare tantissimo, compreso come raccontare questi grani nella maniera giusta. Così quando tutti hanno cominciato a volere queste “nuove” farine, noi eravamo già sul pezzo», racconta sempre Lucia. «Se tutto va bene, un ettaro coltivato a Gentil Rosso rende 20 quintali, in pianura il corrispettivo con varietà standard è di 70/80 quintali, capite cosa vuol dire?».

San Biagio Vecchio macina poi solo piccoli quantitativi alla volta: «Contrariamente ad altri mulini, Ilario Conficconi prende anche partite piccole e per chi lavora in biologico come noi è essenziale perché così si hanno farine sempre fresche che non hanno il tempo di irrancidire. Ora anche i grandi si sono lanciati sui grani antichi, da un lato è una buona cosa, dall’altra il rischio è che si si abbatta troppo il prezzo della farina: per noi produrla ha costi ben diversi. Ma io ricordo sempre un cliente che era venuto dall’Emilia a comprare la mia farina per fare delle tigelle alla nonna in ospizio. Tornò dopo un po’ di tempo e mi disse che mangiando quelle tigelle la nonna si era commossa e aveva detto che sentiva il sapore della farina di quando era piccola. Ecco, a noi è questo che importa».

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