Addio a Sergio Guerra il profeta del volley che portò l'Olimpia sul tetto d'Europa

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RAVENNA. La pallavolo femminile italiana, da ieri, non è più la stessa. E non tornerà mai più ad esserlo. Perché Sergio Guerra era la pallavolo femminile, uno sport che aveva ridisegnato e fatto sbarcare anticipatamente nel futuro grazie al gioco imposto alle ragazzine della sua Teodora, quelle che adesso sono le prime a piangerlo assieme ad Alfa Garavini. Perché Sergio Guerra, oltre a farle diventare donne sul campo, aveva regalato loro soddisfazioni inimmaginabili da quando, poco più che bambine, vestirono per la prima volta la maglia dell’Olimpia anche per far piacere alla loro insegnante di ginnastica dal nome strano. Ma non casualmente, lo si sarebbe scoperto presto, con l’iniziale della prima lettera dell’alfabeto greco.

La volpe argentata. Il numero uno è ricorrente nella storia di allenatore di Sergio Guerra. Da giocatore Guerra aveva raccolto già grandi risultati sia nei Vigili del Fuoco Casadio che successivamente nella Virtus Bologna, raggiungendo anche il traguardo della nazionale con 5 presenze tra il 1968 e il 1969. Ma è stato naturalmente come allenatore, perché a quell’epoca nessuno usava ancora il termine “coach”, che Guerra fece la storia della pallavolo italiana ed europea. Undici scudetti consecutivi, dal 1980 al 1991, rappresentano un risultato che nessuno potrà mai raggiungere, in particolare nella pallavolo. E poi le due Coppe dei Campioni: la prima, quella del 1988, più eroica e made in Ravenna, a Salonicco; la seconda al De Andrè, nel 1992, già con le entrate del gruppo Ferruzzi ma non per questo meno difficile da conquistare. E’ incontestabile che Sergio Guerra abbia fatto la storia dell’Olimpia Teodora e che l’Olimpia Teodora quella della pallavolo italiana. Non serve scomodare Aristotele, quindi, per sostenere che Guerra abbia fatto la storia del nostro volley femminile, realizzando un’impresa unica. L’allenatore dell’Olimpia Teodora riuscì ad anticipare sul tempo la pallavolo del futuro, modellando il gioco della sua squadra secondo criteri secondo i quali la velocità e la tecnica dovevano essere sempre privilegiati rispetto a quella fisicità che aveva sempre tenuto banco in Europa soprattutto grazie ai fisici quasi mascolini esibiti dalla Dinamo Mosca prima e dell’Uralochka poi. Fu proprio quando mise nel sacco le fortissime russe e, per la seconda Coppa Campioni, il quotatissimo Mladost Zagabria, che Guerra si guadagnò il meritato appellativo di “Volpe argentata”, soprannome che univa la genialità delle sue intuizioni al colore prematuramente brizzolato della capigliatura. Leggendari i siparietti, non solo di quegli anni ma anche degli allenamenti del terzo millennio, durante i quali Guerra raccoglieva il pallone e fermava il gioco dopo un palleggio eccessivamente alto delle sue registe e lo spolverava perché, diceva, “era andato talmente in alto da venire giù con la brina..”. Risata generale e si riprendeva, ma da lì in avanti solo con palleggi veloci e tesi.

I migliori anni della nostra vita. Sono stati, quelli, i migliori anni della vita dell’Olimpia Teodora e della pallavolo ravennate. Quando le strade di Sergio e della Teodora si separarono, tutti pensarono che sarebbe stato un lungo addio, come quello di Chandler e del suo Marlowe, ma non certo definitivo. Il tecnico di tutti i trionfi, infatti, venne richiamato dal 2002 al 2004, perché i buoi (leggi sponsor) ormai erano scappati ma la storia dell’Olimpia non meritava di essere macchiata dalla retrocessione. Arrivarono così due salvezze più che tranquille. Solo sul campo, però, perché poi la dirigenza dell’epoca fu costretta a cedere i diritti a Pesaro e ripartire dalla B2. Sempre con Guerra, che trattò gli allenamenti e le partite della quarta serie nazionale allo stesso modo della finale di Coppa Campioni vinte tanti anni prima. Poi Sergio chiuse il libro d’oro del volley femminile ed affiancò per qualche tempo il figlio Matteo in campo maschile. In punta di piedi ma con la solita genialità. E, come oltre 30 anni prima, senza accettare compromessi.

Per sempre. Sergio Guerra adesso se n’è andato in punta di piedi, lasciando un vuoto intollerabile nel mondo della pallavolo. A livello nazionale in generale (per i funerali sono attesi i vertici della Fipav) e ravennate in particolare. Certamente nessuno potrà mai dimenticarlo però, per essere certi che la cosa non succederà mai anche tra i non addetti ai lavori o i più distratti, sarebbe davvero molto bello intitolargli un impianto significativo a livello cittadino, cosa che il sindaco Matteucci ha fatto poco tempo fa con la nuova palestra della Ricci Muratori e l’ex presidente del Coni Alfredo Cavezzali. Uno come Sergio meriterebbe senza alcun dubbio di vedere il proprio nome associato al Pala De Andrè, quello del trionfo della seconda Coppa dei Campioni. Magari lui avanzerebbe solo un dubbio, perché quella cupola troppo alta di viale Europa potrebbe convincere qualche palleggiatore a spingere troppo in alto una palla che, poi, “cadrebbe giù con la brina..”.

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