I 40 anni del Centro Relazioni Culturali

Rimini

RAVENNA. Quarant’anni, per una rassegna culturale, sembrano quasi una durata impossibile.

Eppure era il 1974 quando il Centro Relazioni Culturali di Ravenna – nato due anni prima – organizzò il primo di una serie di incontri letterari tutt’ora in corso e che proprio questa sera (ore 18) celebra alla Sala D’Attorre di Casa Melandri i quattro decenni di esistenza. Ospite d’onore Luca Goldoni, scrittore e prestigiosa firma del giornalismo italiano, che fu il terzo ospite del Centro nel 1975 e che da allora ha collezionato quattordici presenze, accompagnato da Roberto Casalini, Franco Gàbici, Giuseppe Rossi e da Ouidad Bakkali, assessora alla Cultura del Comune di Ravenna.

L’idea del Centro Relazioni Culturali nasce dalla precedente esperienza del Trebbo poetico, avviata nel 1956 da Walter Della Monica e Toni Comello, e sostenuta dai grandi poeti, tra cui Giuseppe Ungaretti, che all’epoca così parlava a proposito di questa iniziativa: «Sento che il trebbo farà miracoli per riportare gli uomini a non essere più tanto distratti dalla loro voce più profonda».

È lo stesso Walter Della Monica, tuttora organizzatore degli “Incontri letterari” di Casa Melandri, a ripercorrere qualche tappa di questi primi quarant’anni di attività.

8 aprile del 1974, una data che non dimenticherà.

«No di certo. Fu il primo incontro letterario in assoluto, quello con Carlo Sgorlon, che con Il trono di legno aveva vinto il premio Campiello nel 1973. Lo avevo conosciuto durante un trebbo poetico a Udine e quando lo invitammo si ricordò che quell’esperienza era stata molto positiva. Poi, un mese dopo, venne Giuseppe Berto, l’autore del romanzo Il male oscuro, che era divenuto famosissimo. All’inizio questi incontri erano molto saltuari, tanto che il terzo ospite, Luca Goldoni, venne nel febbraio del 1975, per presentare il suo È successo qualcosa?. Tutto nacque insieme a Mario Lapucci, allora libraio e scrittore ma poi fondatore della casa editrice del Girasole, che è stato con noi fino al 1992, anno della sua scomparsa».

Come reagì il pubblico a queste proposte letterarie?

«In generale il nostro primo intento era quello di puntare sulla narrativa, ma poi ci siamo resi conto che questa non sembrava essere molto negli interessi del pubblico e allora ci siamo orientati sulla saggistica. E più che puntare sui nomi col tempo abbiamo preferito privilegiare gli argomenti, anche in ambito poetico. Con questa filosofia abbiamo impostato tutti i cicli d’incontri, che ora sono arrivati ben oltre i 1600, con cadenza settimanale, tutti i venerdì, ai quali si aggiungono gli speciali martedì, dedicati alle firme della Romagna».

Ricorda ospiti il cui nome è poi “esploso”?

«Direi proprio che ne sono passati tantissimi che poi hanno goduto di grande fama, basti pensare a Umberto Eco, Enzo Biagi, Fernanda Pivano, Franco Ferrarotti, Camilla Cederna, Piero Angela, Lidia Ravera, ma anche nomi già noti, come quelli di Gino Bartali, Margherita Hack o Tonino Guerra. Il prossimo novembre poi arriverà Dacia Maraini».

In quarant’anni com’è cambiato il pubblico?

«All’inizio la sala era quasi completamente composta da uomini, ora invece è l’esatto contrario. L’unica costante è la scarsa presenza di giovani, purtroppo. Per una decina d’anni siamo stati itineranti, sfruttando tutte le sale possibili di Ravenna, poi, a partire da metà anni Ottanta, ci è stata data la Sala D’Attorre di Casa Melandri».

Il Centro Relazioni Culturali è stato poi il primo in tutta Italia a proporre a Ravenna la lettura completa della Divina Commedia, e le quarantanove traduzioni di La Divina Commedia nel mondo.

«Sì, traduzioni che quest’anno diventeranno cinquantadue con la proposta delle versioni bengalese, croata e georgiana. È chiaro che in questa attività la ricerca va poco per volta esaurendosi, per forza di cose, ora ci stiamo orientando di più verso l’Asia. Certo, le traduzioni vengono quasi tutte fatte su una versione inglese o francese, ma il fatto che la Divina Commedia e Dante siano arrivati nelle università di così tanti Paesi non può che far piacere».

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