«Ricordiamo il muro di Berlino a chi ne vuole costruire di nuovi»

FORLÌ. Voluto a Forlì dal Comitato della Croce Rossa e dal vulcanico Cristian Laghi, “Il muro”, il nuovo spettacolo di Marco Cortesi e di Mara Moschin, in programmastasera al Diego Fabbri di Forlì è già “sold out” da 10 giorni, e sono oltre 150 coloro che purtroppo restano senza biglietto. Ma la Croce rossa prevede già repliche in diversi teatri del territorio (la prima è domenica 13 alle 20.30 nella sala del Carmine di Massa Lombarda), per poter soddisfare così tutte le richieste per un’opera che sta riscuotendo un grande successo in tutta Italia.

“Die mauer. Il muro” è frutto di due anni di inchieste e interviste realizzate in Germania dai due autori-attori.

«Questo è il primo lavoro completamente nostro – risponde Marco Cortesi, forlivese, che ormai da 10 anni con Mara Moschin si è rivolto al teatro civile, con spettacoli come “La scelta” e “Ruanda” –. Il tema sono le storie vere di persone che hanno cercato di valicare il muro di Berlino, una barriera capace di dividere per quasi 30 anni due parti di una città, e due mondi. Non è stato sempre facile: tanti cercano di dimenticare, o vivono ancora la scia di una paura che è stata parte integrante delle loro vite, e anche se la storia prima del 1989 per tanti giovani della ex Ddr è quasi sconosciuta, è comunque forte l’impronta di quel controllo collettivo e continuo esercitato da oltre 270.000 persone che facevano capo alla Stasi, il Ministero per la sicurezza di Stato. Nella Germania attuale, inoltre, hanno trovato spazio gruppi di estrema destra che si rifanno a quell’idea di ordine primordiale, di perfezione irrealistica che improntava di sé la Repubblica democratica: e fanno paura».

Quattro, le voci di chi ha “vissuto” il Muro.

«Tratte da oltre quaranta interviste a chi è fuggito, a chi ci ha provato, ma anche a un informatore della Stasi e a un ex soldato il cui compito era sparare e uccidere su quella linea di confine, e che non ha rimorsi per quello che è successo, lo trova giusto…».

Sembrava che la memoria di quel muro e della sua caduta non dovesse svanire mai

«E invece siamo pigri, la storia ci pare qualcosa di noioso e scolastico, da evitare. Inoltre, se chi ha vissuto quelle cose vuole chiudere il libro, chi detiene il potere spesso ha invece una precisa volontà di cancellare il passato, il che consente di ripeterlo, senza che le persone possano opporsi e demonizzare i muri attuali. Del resto, i nostri testimoni ci hanno confessato che da anni nessuno chiedeva loro più nulla sulle loro storie: tutto questo non interessa più!».

Ma il vostro, non è, o non è solo, uno spettacolo “storico”.

«Infatti non guardiamo al “muro”, ma al “muro dei muri”, quello che è dentro, non fuori e che divide noi da noi stessi. Il pubblico lo comprende molto bene: di qui, l’emozione e la commozione da parte di chi riconosce che stiamo parlando soprattutto della nostra paura del futuro, di non riuscire a realizzare i nostri sogni, di un “muro” che non è nel cervello, ma nel cuore».

Un lavoro di questo genere comporta un’organizzazione impegnativa.

«E infatti un grande aiuto ci è venuto dall’essere stati riconosciuti all’interno del progetto “Atrium”, di cui il Comune di Forlì è capofila. Questo ci ha aperto le porte delle istituzioni tedesche e del Centro di documentazione della Bernauer Straße che ci ha messo in contatto con i testimoni. In questo modo abbiamo potuto raccontare una storia completa della vita del muro: da quando fu costruito, il 12 agosto 1961, all’urlo della folla, il 9 novembre 1989: un urlo che facciamo ascoltare dalle registrazioni originali, e che ci fa ricordare, ci auguriamo, quel sogno di libertà, costato tanto dolore, tanti morti».

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