Sandrocchia la svamp e il regista pigmalione

Rimini

RIMINI. Non è la prima volta che lo afferma, anzi lo grida: io e Federico? C’eravamo tanto amati. Pestifera di una Sandra. O meglio, Sandrocchia. La Milo. Quella di «Chi, Ciro?», presa per in fondelli anche da Blob alla tv. Erano gli anni Novanta. Ottantacinque primavere alle spalle. Alla lettera: è nata l’11 marzo del 1933. La Carla di , la Susy-Iris-Fanny di Giulietta degli spiriti. Entrambe le interpretazioni le valsero i Nastri d’argento.

Sandra Milo, al secolo Elena Salvatrice Greco, debutta al cinema a metà anni Cinquanta con Lo scapolo di Petrangeli con Alberto Sordi (che aveva già girato Lo sceicco bianco e I vitelloni con l’amico Federico). Dopo i primi film, tra cui Adua e le compagne con Simone Signoret, inciampa nella stroncatura della pellicola Vanina Vanini di Rossellini, di cui è la protagonista. Il successo arriva con il ruolo che le affida Fellini in , film che segna una svolta nella filmografia del regista, diamante estratto arrancando nella selva oscura di un periodo di travaglio e crisi creativa, dopo i trionfi de La dolce vita.

Sandra Milo, l’amante Volpina/Volpona di Guido Anselmi (Mastroianni) in . Sensuale e irriverente forever. Mai doma. Ancora oggi su un palcoscenico. In tournée nella commedia Mamma ieri mi sposo, lei che ha cambiato amori, amanti, mariti. E al cinema tra i protagonisti dell’ultimo film di Muccino. Ancora a gridare il suo amore per lui, per Federico. Ancora l’altra sera, da Fazio: «Sono svenuta quando Federico mi ha baciata la prima volta. Ero così innamorata, così persa…». Ha amato molti uomini, pure Bettino Craxi, le ha ricordato la giornalista Elvira Serra nell’intervista apparsa lo scorso 26 febbraio sulle pagine del Corriere della Sera. «Sì, ma l’amore amore è stato solo uno: Federico». Sandrocchia insiste… e non da oggi. Quasi a dovere/volere squarciare un velo che ancora avvolge narrazioni e biografie troppo strette in cornici benpensanti. «Ancora oggi ci parlo come se fosse qua». Tenerezze della terza età? Macché. «Sono stata anche molto felice sessualmente con lui». Rieccola, la spudorata. «Non mi fraintenda: quando facevo l’amore mi sembrava di essere la terra, il cielo, gli alberi, la tempesta, la neve, l’universo intero che si concentrano in quell’atto». Splendida dichiarazione d’amore. Amour fou. Ai millennials, e non solo: prendete nota.

A Sandrocchia per il ruolo di Carla in Fellini arriva dopo una lunga ricerca dell’interprete ideale, intorno alla quale si scatena la stampa dell’epoca, affamata di scoop giornalistici intorno al «film segreto di Fellini». «Fellini cerca una nuova stella per un film piuttosto misterioso» titola il 9 dicembre 1961 la testata Napoli notte che della candidata indica anche gli attributi: «bellissima, alta e formosa» (lo riportano Domenico Monetti e Giuseppe Ricci nel libro 8½ raccontato dagli Archivi Rizzoli, 2008). Ed è subito ressa di aspiranti star. Con immancabile sequenza di riferimenti pittorici: «un tipo degno di Rembrand», una «Venere del Tiziano». Più volgarmente parlando è caccia alla «cicciona», che a Bologna diventa «donna formosa», a Torino «una donna fornita di curve» e che lo stesso Fellini, incalzato dal giornalista di turno, descrive a un certo punto (Ciak, 10 gennaio 1962) come «una di quelle donne che tu appena la vedi ti viene voglia di metterle la testa sul seno e riposarti. Una di quelle femmine bionde e opulente, create da Dio per la gioia degli uomini afflitti (sic, ndr), con la carne morbida e bianca, i capelli freschi e radiosi e l’aria di madre-amante». È la stessa produzione (con arguzia mediatica) a far scatenare la ressa in mezza Italia, con un comunicato che invita le italiche bellezze a presentarsi alle selezioni: «Il vostro corpo assomiglia a quello di una Venere rinascimentale? Il vostro viso è chiaro, dolce, luminoso? Siete alta, doviziosa, materna, floreale, opulenta e bella?». Si arriva alla primavera e ancora la candidata ideale non c’è. In aprile sembra fatta: «Cercava una donna alta, floreale, come un albero: l’ha trovata in Marcella Pobbe». La metafora arborea di “donna albero” sembrava avere trovato la sua incarnazione nella cantante lirica. Ma vincoli contrattuali pregressi fecero saltare tutto. Infine, il 7 maggio 1962, la fatale notizia: «Sandra Milo sarà la matrona del prossimo film di Fellini». «Dopo mesi di affannose ricerche» sottolinea l’occhiello dell’articolo del Messaggero dell’epoca. E così sia. Il resto è storia: il regista che piomba a casa dell’attrice, all’epoca legata al produttore Moris Ergas, improvvisa un provino e la consacra come la Carla, l’amante gattona di . Piccolo particolare per fare aderire in pieno l’attrice all’idea del personaggio che ribolliva nella mente del suo autore: doveva ingrassare almeno 4 o 5 chili. Una goduria per Sandrocchia, intorno alla cui dieta, manco a dirlo, si buttano a capofitto giornali e rotocalchi dell’epoca che si riempiono di parole e immagini dove a dominare sono le pantagrueliche abbuffate dell’attrice: «Faccio sei pasti abbondanti al giorno, tra un pasto e l’altro mangio panini e paste», racconta a Lietta Tornabuoni che la intervista per il settimanale Annabella (10 giugno 1962). Segue foto con vassoio stracolmo di babà ripieni, bigné, zeppole, cremosi e cioccolatosi, ma anche «alla banana e alla panna» (!). Una illustrazione del pittore Walter Molino la mostra con gli occhi al cielo (Madonna penitente in salsa moderna) intenta nel sacrificio quotidiano: divorare piatti di «fettuccine, patate arrosto, polli alla diavola e sostanziosi budini» mentre il settimanale Gente che la immortala, il 27 luglio del 1962, in un servizio fotografico nella sua abitazione ai Parioli, si premura di far conoscere ai lettori menù e orari della cura ingrassante: «Appena sveglia Sandra mangia una grossa fetta di torta a base di farina, uova, latte e zucchero; alle undici pane e prosciutto; alle tredici spaghetti alla carbonara, seguiti da grosse bistecche o stufati, formaggio e dolce; a cena, ancora pastasciutta, carne, verdura, formaggi grassi, dolce; prima di andare a letto, infine, uno spuntino con prosciutto, fegato d’oca, dolci».

La Carla di fa la sua entrée nell’aria vaporosa di una stazione. Una “svamp”, tra curve e tacchi alti, velluti, sete e piume, come nella scena dell’harem, o semi nuda e sensuale, nella camera da letto d’hotel dove Fellini le ritaglia la scena madre di ogni amante versione puttana: «Fai la porca» la invita Guido/Marcello. E lei che ancora oggi ne ride: «Non sapevo che fare, me lo mostrò Federico...». Con quel visino da cerbiatta, le sopracciglia esagerate, lo sguardo che si volta verso la telecamera: irridente, quasi ingenua, lontana dal rischio di apparire volgare, di entrare nel terreno dell’oscenità.

La Sandrocchia e le altre… Che se ci fosse una terza sala al Fulgor, da aggiungere alle “Federico” e “Giulietta”, non è che sarebbe poi così tanto male…

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