Minacce e stalking: dentro la guerra dei taxi a Ravenna

Prese singolarmente, discussioni accese, offese e gestacci, sarebbero passate come «vicende bagatellari» destinate a una quasi certa assoluzione per tenuità del fatto. Ma «l’abitualità del comportamento» di Lassaad Tekari e del figlio Omar – padre e figlio tunisini di 58 e 26 anni – ha trasformato in una guerra il business dei taxi a Ravenna. Una battaglia quotidiana per contendersi le corse, in un «pessimo contesto complessivo» a discapito dei colleghi, che alla fine ha portato alla condanna di entrambi al termine del rito abbreviato: 8 mesi al primo; 20 giorni in più al secondo. Nelle motivazioni della sentenza depositata di recente, il giudice per l’udienza preliminare Janos Barlotti, ripercorre tutti gli episodi contestati dal sostituto procuratore Stefano Stargiotti, qualificati come stalking e violenza privata (quest’ultima per il solo 26enne). Trovano ampio spazio le conseguenze psicologiche patite dall’unica tassista donna tra i titolari delle licenze in città, che si è costituita parte civile con l’avvocato Francesco De Angelis ottenendo una provvisionale di 4mila euro oltre al pagamento delle spese legali.

Clima di soggezione

Non era bastato alla tassista fare in modo che padre e figlio ricevessero l’avviso orale del questore. Il 5 agosto 2021 li aveva denunciati raccontando di vivere – riepiloga il gup – «in una condizione di angoscia e ansia». Il giorno prima, al culmine di una discussione per il mancato rispetto della normativa anti-covid (aveva riempito il taxi di clienti), il 26enne le aveva bloccato la strada dicendole, “se eri un uomo ti avrei già appeso a un albero”, e ancora, “adesso è guerra, vedrai che guai di faccio passare”, con gesti «inequivocabili come quello del pugno che schiaccia il palmo della mano oppure quello del dito sotto la gola – aggiunge il giudice – pure facendole presente che “lui aveva Facebook e che poteva usarlo in arabo e che io ero una donna sola che lavorava alla sera”».

«Ambiente maschilista»

Sono altri quattro i tassisti che hanno raccontato di analoghe aggressioni fisiche e verbali, con tanto di manovre azzardate e minacce di vario calibro. Ma a risentirne maggiormente sarebbe stata proprio la donna. Si era rivolta a Linea Rosa, aveva iniziato a frequentare corsi di difesa personale; alla fine era stata costretta rinunciare ai turni serali e a ricorrere alle cure di uno psicoterapeuta. E proprio lo specialista avrebbe preso atto «che i disturbi psicosomatici e l’ansia erano riapparsi “in modo grave e incontrollabile” nella paziente ... per problemi legati al nuovo lavoro da tassista, in un ambiente maschilista».

Colpa in particolare dei due colleghi, i quali – parole del terapeuta riportate in sentenza – «avevano un atteggiamento umano non accettabile, soprattutto nei confronti di una donna».

Bollate infine come «molto generiche, poco lineari e inattendibili» le dichiarazioni degli imputati nel tentativo di descrivere lo scenario di una “coalizione” per eliminarli dalla piazza. Il loro difensore, l’avvocato Luca Donelli, aveva insistito affinché le accuse venissero derubricate. Ma per il giudice sono troppi i racconti, tanto da descrivere «un reato abituale» che esprime «un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti». Una guerra, appunto.

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