La «più fulgida gloria del nostro teatro nazionale»

Rimini

«Non è vero che il pubblico di Rimini è pigro e non apprezza il teatro. Rifiuta, sì, “certi” spettacoli, ma quando gli si presentano testi validi, sostenuti da attori di prim’ordine, vi accorre, applaude e si accalora». Ad esprimere questo pensiero è La Riscossa del 5 settembre 1906 e a riprova di quanto asserisce porta come esempio la fortunata tournée della compagnia Gramatica-Andò all’Arena al Lido dal primo al 5 settembre 1906: tutte le sere un pienone. Un successo – fa capire il settimanale dei repubblicani riminesi – dovuto al repertorio scelto, alla regia accurata e professionale e al cast di attori validi e affiatati. E tra questi – stando a Il Gazzettino Verde del 2 settembre 1906 – Irma Gramatica (1869-1962), la «più fulgida gloria del nostro teatro nazionale».
L’attrice è la diva del palcoscenico più rappresentativa del momento: come bravura e capacità emozionale è paragonata ad Eleonora Duse (1858-1924). Le cronache parlano molto di lei: non bella, ma affascinante; gli occhi neri intensi «pieni di tenebre»; il sorriso malizioso; la voce armoniosa e morbida; la figura sottile e raffinata; la gestualità garbata. Sulla scena è l’espressione della irrequietezza enigmatica; la sua forza interiore, unita a tanta versatilità, le permette di trovarsi a proprio agio anche nei ruoli “leggeri”. Sensibile e intelligente, ma anche tormentata e ribelle, ha alle spalle una lunga carriera. Figlia d’arte e sorella di Emma (1876-1965), altra individualità artistica, Irma calca la ribalta fin da bambina: debutta giovanissima nella équipe di Cesare Rossi (1829-1898) ed Eleonora Duse. Diventa prima attrice nel 1896 e dal 1904 è a capo di uno staff di teatranti molto gettonato. A Rimini ha già recitato nell’estate del 1901.


Tanti gli aneddoti che si legano alla trionfale tournée riminese di questa troupe capeggiata dal duo Gramatica-Andò; quello, però, che ci accingiamo a rievocare non si riferisce alle calorose acclamazioni, ma ad un banale «episodio pompieristico», che turberà l’atmosfera scenica e darà fiato alla stampa per alcune settimane.
Dai giornali spulciamo il fatto accaduto all’Arena al Lido sabato primo settembre 1906 nella serata d’esordio della compagnia artistica. In sala c’è il pubblico delle grandi occasioni: molta eleganza, incantevoli décolleté, sfarzose parure di gioielli e i nomi più noti della “bagnatura”. La commedia che si rappresenta è Odette: un dramma avvincente spesso interrotto da applausi. Durante la recitazione, sul lato sinistro del proscenio spuntano strani bagliori. La platea, convinta che si tratti di un effetto scenico, segue la vicenda con grande apprensione. Ad un tratto, però, una fiammata “vera” avvolge il sipario. È panico generale: la gente urla e fugge da tutte le parti. l’Arena si svuota in un baleno: tutti fuori ad aspettare gli eventi. Il forzato intervallo dura mezz’ora; poi, risolto l’imprevisto, lo spettacolo riprende.
L’incendio e soprattutto l’azione svolta dai pompieri per smorzarlo, ha un seguito di “infuocate” polemiche che ci permettono di valutare il sistema di “sicurezza” di quell’epoca e quindi di passare dalla finzione del teatro alla realtà del vivere quotidiano. Il fuoco infatti, stando a quanto racconta L’Ausa l’8 settembre, viene «prontamente spento dai pompieri colle… mani». Sì, proprio con le mani, dato che non c’era neanche «un bicchiere d’acqua per estinguerlo». Sull’incidente La Riscossa imbastisce una violenta filippica contro gli «addetti alla sicurezza». «A cosa serve il servizio antincendi», si domanda il 5 settembre, se le «guardie fuoco» non hanno «né pompe, né acqua e nemmeno i mezzi di locomozione per raggiungere e spegnere le fiamme»? Il dito è puntato su Pompeo Zaghi, comandante della «compagine di pronto intervento» e responsabile della sua efficienza. Zaghi, tirato in ballo e colpito nell’amor proprio, sente il dovere di fornire chiarimenti ai cittadini e una settimana dopo le sgradevoli critiche ricevute, dalle stesse colonne de La Riscossa sbandiera la sua versione. «È assolutamente falso», dice il capo dei civici pompieri quanto sostenuto a proposito del servizio antincendi: i pompieri di Rimini non solo viaggiano – «a piedi» – con un «recipiente sempre pieno d’acqua», ma sono dotati anche di «una seconda pompa con 130 e più metri di tubazioni pronta ad attingere acqua dal porto canale».
Proprio così! Un recipiente d’acqua, due pompe a mano e 130 metri di tubo! Questo è «l’armamentario» antincendio a disposizione di Zaghi e dei suoi volontari. Un servizio di sicurezza che dovrebbe garantire a tutti, Irma Gramatica compresa, sonni tranquilli.

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