Il San Michele di Boccaccino, caccia ai tesori dell’arte con Sgarbi

R iappare, da una collezione esclusiva e prestigiosissima, una tavola rara di un pittore ferrarese che si è formato fra Venezia e Cremona: Boccaccio Boccaccino. A Ferrara, nel 1499, è documentato in un concorso per decorare la cattedrale, giudice Andrea Mantegna. Evidenti le sue affinità con il mondo del grande pittore padovano e con Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio, lo stesso Giorgione. Sempre nel 1499 Boccaccino è accusato di avere ucciso la moglie, e questo rende difficile il suo rapporto con Ferrara, pur nelle contraddizioni che aleggiano su quell’episodio. Infatti, la prima moglie del pittore, Adriana di Farfengo, da cui nacque il figlio Camillo, era ancora viva nel 1504; è dunque probabile, come propone Maurizio Calvesi, che la notizia si riferisca a un delitto commesso contro una donna con la quale il Boccaccino viveva more uxorio. Resta che, fosse rimasto a Ferrara, l’artista si sarebbe risolto come un Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano. E invece l’incidente ferrarese orienta Boccaccino prima verso Venezia, dove è certamente già nel 1504, in prossimità del Bellini, all’epoca impegnato, sotto la fervida influenza del giovane Giorgione, in una pittura tonale, più sfumata, lirica e intimistica. Boccaccino è nel pieno della riflessione sui capolavori maturi di Giovanni Bellini, dalla Pala di San Zaccaria (1502), modello (con la Pala di Castelfranco di Giorgione) per la sua Pala di San Zulian, alla mirabile Sacra conversazione Giovanelli, concepita, con l’ampio respiro del paesaggio, più lacustre che lagunare, nel 1502- 1503. E se belliniano è il taglio scelto per le sue fortunate tavole orizzontali, non così esplicito appare il riferimento a una generica aura giorgionesca, suggerito da parte della critica (tra cui Tanzi), per la “realizzazione pittorica”, il “gusto cromatico”, la “concezione tonale” e piuttosto circoscritto al tempo della romantica formazione ferrarese. In quegli anni, infatti, il primo a essere giorgionesco è Giovanni Bellini, alla prevalente lezione del quale si ispira in questo momento Boccaccino. Più pertinente è l’allusione a Lorenzo Lotto: Boccaccino non nasconde timide consonanze con la Pala di Santa Cristina al Tiverone e con il polittico di Recanati. Ma appare invece evidente che Boccaccino, reduce dalla esperienza ferrarese, in equilibrio tra Domenico Panetti e Lorenzo Costa, non ha intenzione di fare salti in avanti rispetto al modello di Bellini, come avevano fatto, e ancora venivano facendo, i più inquieti e innovativi Giorgione e Lotto. Egli anzi sembra coltivare un volontario arcaismo nello schema compositivo, così immobile, impostato, incantato.

Un altro notevole esempio degli anni della formazione, tra Ferrara e Venezia, è il dipinto che qui si presenta, un San Michele arcangelo, scomparto sinistro di un trittico perduto, nel quale si ravvisano quegli stimoli e quelle suggestioni di cui diede conto un raffinato studioso come Alfredo Puerari:

«La conversione dalla tradizione nordica, lombarda, con qualche incidenza fiamminga, a un più sostenuto idealismo formale, già sollecitata dalla conoscenza del Bramante e del Bramantino, è agevolata infine dall’esempio del Costa. Dalla Santa martire di Cremona (proprietà Carotti) anteriore all’andata a Ferrara, al Cristo morto di Varsavia (Museo Nazionale), al Cristo benedicente della raccolta Horne (Firenze), databili al 1499, è sensibile il processo di un adeguamento della forma a un concetto architettonico di struttura, che sarà alla base del futuro classicismo del Boccaccino».

Campione dell’arte padana, nella sua complessità, Boccaccino, nel San Michele, mostra un paesaggio nordico, dureriano, incrociato con l’elegia padana del grande fiume e, nelle forme del santo, lo scioglimento dei modelli tedeschi, anche delle sculture lignee policrome, nelle interpretazioni belliniane e carpaccesche. È una fase di ricerca intermedia, con esiti di fissità compositiva, nella formula collaudata, tra il poeticissimo, pastorale gruppo asimmetrico della Sacra famiglia con un pastore (tutto meno che una Adorazione dei pastori, come vuole Tanzi), della Galleria Estense di Modena, nella indipendente concentrazione (o distrazione nei loro pensieri segreti) dei personaggi, databile al 1500-1501 (e cioè, significativamente, prima dei Tre filosofi di Giorgione), e il compiuto, monumentale capolavoro per la chiesa di Sant’Agata di Cremona: la Sacra famiglia con la Maddalena, che chiude il fertile decennio, con uno scatto potente nella figura intensa e autorevole del san Giuseppe. Pura poesia è il profilo nazareno della Maddalena contro il rarefatto paesaggio, questa volta esplicitamente giorgionesco. Una impostazione che rompe lo schema delle precedenti Sacre conversazioni belliniane, e apre la strada a Palma il Vecchio. Qui nessuna soggezione governa l’estro e l’invenzione di Boccaccio Boccaccino, maestro che si avvia alla notevole e complessa impresa degli affreschi, con le vaste Storie della Vergine e di Cristo (1513-1519), nella cattedrale di Cremona, suo capolavoro padano.

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