Estrazioni di metano: ora il governo pensa ad un’ulteriore apertura.
I mesi di tensioni geopolitiche, con conseguente aumento vertiginoso dei prezzi del gas proveniente dalla Russia, avevano portato allo sblocco dell’approvazione del Pitesai e al decreto Energia. La guerra in Ucraina ora spinge l’Italia a dover pensare di poter non avere più a disposizione la fonte del 40 per cento del fabbisogno di gas nazionale, sostanzialmente la quota con cui si alimenta tutta l’industria.
E quindi ora, dopo il decreto che consentirà il “workout” sulle piattaforme esistenti e quindi un aumento della produzione soprattutto in Romagna-Marche e in Sicilia adesso si valuta come andare oltre.
Le manutenzioni ordinarie sui punti di estrazione già attivi, infatti, consentiranno una produzione extra di circa 2,2 miliardi di metri cubi (solo il 15% di questi arriva dal comprensorio che fa capo a Ravenna). Un aumento che non rappresenta nemmeno il “raddoppio” evocato prima che il decreto venisse approvato, dal momento che si partiva dai 3,5 miliardi di metri cubi di produzione nazionale (se ne producevano 6 anche solo nel 2017, mentre nel 1994 erano 21). Una quota non molto significativa, considerando che l’anno scorso i consumi nazionali si erano attestati a 76 miliardi di metri cubi.
Ora quindi si valuta di superare alcuni tabù: la possibilità di estrarre anche entro le 12 miglia e di cercare gas anche nelle acque profonde, aprendo quindi anche al fronte tirrenico. Prospettive che vedono il favore del Roca, l’associazione degli imprenditori del ramo dell’upstream ravennate. E commentando le dichiarazioni di apertura in tal senso dello stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, il presidente del Roca, Franco Nanni (nella foto), valuta che il premier «si sia reso conto di quanto noi sottolineavamo nel momento in cui si discuteva delle misure da prendere prima dell’approvazione del decreto. Riprendere le attività di gas metano senza fare nuove piattaforme, infatti, non avrebbe portato ad aumenti di produzione importanti».
La soglia delle 12 miglia
Agire invece sotto le 12 miglia e in deroga a quanto stabilito anche col Pitesai, invece, consentirebbe tra le altre cose di andare a estrarre quei 70 miliardi di metri cubi che in Alto Adriatico si sa già essere disponibili e che probabilmente aprirebbero alla fruizione di un giacimento ancor più ricco: «La speranza è questa, ovviamente considerando tutte le delicatezze degli ambiti più fragili per via della subsidenza – completa il ragionamento Nanni -. Sicuramente si sta chiudendo la stagione dei “no ideologici” a tutto. Che vanno rimossi anche per l’eolico offshore, sul quale bisogna accelerare dal punto di vista autorizzativo».

Sulla questione interviene anche il presidente di Tcr, Giannantonio Mingozzi, che sottolinea come nel novero delle ipotesi c’è anche, molto concreta, la riapertura di centrali a carbone «Ci permettiamo di suggerire – continua l’esponente della segreteria del Pri ravennate – che a fronte dei rincari di questi mesi e delle incertezze del futuro, prima di evocare il ritorno al carbone sarebbe bene aumentare la produzione di gas dell’Adriatico anche con nuovi pozzi e concessioni, cioè senza limitare le estrazioni a quelli ancora riattivabili. I giacimenti sono tali, nel nostro mare, che per altri 30 anni almeno potremmo garantire un buon 20% del fabbisogno e contribuire ad abbassarne il costo».