Il committente, il fornitore dell’impianto, un ingegnere che doveva testare il funzionamento elettrico della paratia, e un geometra che diede disposizioni prima dell’incidente. Per tutti e quattro è stata chiesta la stessa condanna: un anno per l’amputazione di un piede riportata da un operaio all’epoca dei fatti 36enne, che l’11 agosto del 2014 rimase schiacciato in seguito alla caduta di una paratoia mentre stava lavorando alla centrale idroelettrica sul Savio, a Mensa Matellica. Si tratta dello stesso impianto (commissionato dall’ imprenditore forlivese Daniele Tumidei, titolare della Act Hydroenergy) che secondo la Procura è all’origine delle frane lungo l’argine del fiume, per le quali è in corso un processo parallelo con l’ipotesi di disastro idrogeologico. Per l’accusa i quattro sono in ugual modo responsabili di lesioni colpose, gravissime e permanenti. Il processo è giunto ieri alle battute finali davanti al giudice monocratico Antonella Guidomei, che ha concesso un rinvio per repliche a febbraio, prima della sentenza.
L’incidente prima del collaudo
Quel giorno, nel pomeriggio, la paratoia funzionale all’impianto realizzato nell’alveo del fiume aveva ceduto a causa della rottura di un altro elemento della centrale, trasformandosi in una ghigliottina sul piede dell’operaio, che si trovava vicino. Il ferito era rimasto bloccato in fondo a uno scavo profondo tre metri, al punto che per portarlo in superficie erano intervenuti i vigili del fuoco. Rimasto sempre cosciente, l’operaio era stato portato all’ospedale “Bufalini” di Cesena a bordo dell’elicottero del 118 con un codice di massima gravità. Il sopralluogo eseguito dai carabinieri aveva poi portato all’avvio dell’inchiesta, con il rinvio a giudizio per i responsabili delle imprese coinvolte nei lavori.
L’accusa del pm
«Questo infortunio poteva e doveva essere evitato». Queste le parole del sostituto procuratore Antonio Vincenzo Bartolozzi durante la requisitoria di ieri, nel corso della quale ha ricordato la scansione dei fatti, poco prima dell’infortunio. All’operaio era stato chiesto di pulire lo scavo in prossimità della paratoia, prima di installare le grate che avrebbero dovuto proteggerle dall’accumulo dei detriti. Per agevolare l’operazione la “porta” sollevabile, del peso di 30 quintali, fu alzata meccanicamente. Tuttavia, la centrale non era ancora stata collaudata, nonostante la paratia fosse stata testata diverse volte. Nel corso del dibattimento è stata ricostruita la causa del guasto: una perdita di olio dal pistone idraulico avrebbe provocato la caduta improvvisa del pesante blocco, tranciando di netto il piede dell’operaio.
Le difese
La parte offesa, tutelata dall’avvocato Mattia Lancini del foro di Rimini, è stata già risarcita (motivo per il quale ha ritirato la querela). Aspetto rimarcato ieri durante l’arringa dei difensori dei quattro imputati, che hanno chiesto l’assoluzione.
In particolare l’ingegnere, assistito dall’avvocato Gebbia, avrebbe alzato la paratoia su richiesta degli stessi lavoratori, in difficoltà nel pulire senza riuscire a sollevare la pesante struttura. Per il committente dei lavori, il difensore Claudio Maruzzi ha sostenuto che non avesse mai dato ordini su come operare nel cantiere e che la pulizia e il posizionamento delle griglie fosse un’attività estranea alla sua responsabilità. Secondo il fornitore dell’impianto (difeso dall’avvocato Poggi), nessuno avrebbe dovuto alzare la paratoia, men che meno lavorare nell’area sottostante. E nemmeno il geometra, responsabile del cantiere avrebbe mai dado disposizione di azionare il meccanismo.