«Ferragosto resiliente, occupate 9 camere su 10». L’iniezione di fiducia che spegne la fumata nera dei giorni scorsi viene da Sergio Lepri, responsabile dell’Osservatorio turistico regionale dell’Emilia Romagna. Il casus belli, invece, è stato offerto dal monitoraggio commissionato al centro studi turistici di Firenze da Assoturismo e Confesercenti che, sabato scorso, ha evidenziato un Ferragosto fiacco in tutta Italia e traballante in Riviera, dove la saturazione delle strutture sarebbe scesa al 78% sui portali, nonostante il ponte duri un giorno in più dell’anno scorso.
Lepri, come commenta il monitoraggio?
«Lungi da me far polemiche. Mi limiterò a analizzare i dati. Il nostro osservatorio conduce rilevazioni periodiche, intervistando un campione significativo di operatori, perciò il primo dubbio che mi viene in mente, leggendo il sondaggio, è che il campione utilizzato con ogni probabilità non sia rappresentativo nei numeri come nella sostanza. Detto questo, immagino che per confezionarlo i primi interpellati siano stati gli associati di chi lo ha commissionato. Niente di male, beninteso, solo che non costituiscono la maggioranza degli operatori. E non è tutto».

Ovvero?
«La mia ipotesi è che all’interno del campione non rientrino solo gli albergatori ma altre tipologie di operatori della filiera dell’ospitalità: dai commercianti ai titolari di parchi divertimento per famiglie. Ossia il nostro cliente tipo, nonché quello che soffre di più in questo momento storico per una serie di concause: dal carrello della spesa che langue alle utenze alle stelle senza dimenticare le rate dei mutui rese esorbitanti dal tasso inflazionistico. Tutti frangenti che sommati assieme hanno provocato una riduzione del salvadanaio dei clienti storici a un passo dalle vacanze. Con una raffica di conseguenze. C’è chi ha rinunciato alla partenza, chi ha tagliato la durata del soggiorno e chi infine ha accorciato le distanze risparmiando sul viaggio, dalla benzina all’autostrada».
Perché il Ferragosto non registra il sold out?
«Perché a trovarsi in difficoltà è il cliente tipo della vacanza balneare di altissima stagione. Ovvero chi lavora in un’azienda che chiude nel cuore dell’estate quando le tariffe della villeggiatura sono più alte. La forbice è inesorabile: da una parte aumentano i prezzi, dall’altra il portafoglio si alleggerisce. Quindi è vero che ci sono meno turisti seppur non nella misura del 78% come afferma il monitoraggio».
Quali sono i dati più recenti?
«Fino a due settimane fa si registrava l’80% di occupazione nell’intero mese di agosto, dato presto salito all’85% e ora a un soffio dal 90%. Solo uno o due punti in meno del 2022, quindi, fermo restando che siamo nel Capodanno dell’estate, una finestra temporale caratterizzata da soggiorni mordi e fuggi dove i telefoni non smettono mai di squillare. Il pacchetto base, alloggio-spiaggia, è stato mantenuto mentre patiscono gli altri settori. Se il campione contempla gli ambiti più in affanno, allora è comprensibile una flessione, anche sul -30%».
Meglio rendere più raggiungibile la Romagna potenziando le infrastrutture, magari grazie ai fondi del Piano nazionale ripresa e resilienza?
«È sempre l’offerta che crea la domanda, perciò prima di tutto occorre costruire una proposta migliore, altrimenti il ragionamento non regge. In sostanza bisogna rilanciare l’intera filiera, non solo le infrastrutture».
Capitolo prezzi.
«La nostra riviera resta la più competitiva nel panorama nazionale balneare, ecco perché la flessione al 78% non quadrava neanche appellandosi al buon senso. Quanto agli aumenti li riscontriamo ma soltanto in modo limitato. Qualche esempio? In altissima stagione gli hotel non hanno superato il 10%, secondo un ordine di grandezza ancora accettabile, gli stabilimenti balneari sfiorano invece il 5%. Purtroppo i rincari maggiori riguardano tutti i servizi che necessitano di materie prime e di trasporto. Un esempio? Un cono piccolo è passato da 2,50 a 3 euro, con un incremento del 20%».